di socialclimatejustice.blogspot.com
Nel panorama intellettuale contemporaneo, pochi libri hanno avuto un impatto così profondo e una diffusione così ampia come "Armi, acciaio e malattie" di Jared Diamond.
Pubblicato nel 1997, il saggio si è imposto come una spiegazione audace e apparentemente onnicomprensiva delle disuguaglianze globali, evidenziandone i fattori ambientali e geografici.
Tuttavia, questa tesi, pur nella sua eleganza e potenza narrativa, è stata oggetto di intense critiche da parte di numerosi accademici.
Tra le voci più autorevoli e radicali levatesi contro il determinismo geografico di Diamond spicca quella dell'antropologo e attivista David Graeber.
Sebbene Graeber non abbia dedicato un'opera monografica alla confutazione di Diamond, le sue critiche emergono in modo frammentario ma inequivocabile attraverso i suoi scritti, in particolare in "Debito: i primi 5000 anni" e, in modo ancora più sistematico, nel suo ultimo capolavoro scritto con David Wengrow, "L'alba di tutto: una nuova storia dell'umanità".
Analizzando il corpus del pensiero di Graeber, è possibile approfondire le sue obiezioni fondamentali, le quali non si limitano a correggere i dettagli, ma mirano a smantellare l'intero edificio teorico di Diamond.
La critica principale di Graeber può essere riassunta in un'accusa fondamentale: quella di cancellare la politica, l'azione umana e la libertà dalla storia.
Per Diamond, la storia umana è un grande esperimento naturale in cui le variabili decisive sono la disponibilità di piante e animali domesticabili, l'orientamento dei continenti e la conseguente diffusione di tecnologie e malattie.
In questo schema, le società umane sono quasi degli automi, il cui destino è pre-scritto dalla loro collocazione geografica.
L'Eurasia, con il suo asse est-ovest e la sua ricchezza di specie adatte all'agricoltura e all'allevamento, era semplicemente "benedetta dalla geografia".
Le Americhe e l'Africa subsahariana, al contrario, erano "svantaggiate".
Graeber rigetta questa visione
eccessivamente semplificata e, in ultima analisi, disumanizzante.
Egli sostiene che Diamond, nel tentativo di fornire una spiegazione "scientifica" e non razzista delle disuguaglianze, finisca per creare una nuova forma di inevitabilità storica che nega l'agentività (agency) dei popoli.
Le società non sono entità passive che reagiscono agli stimoli ambientali; sono il prodotto di scelte politiche, di dibattiti filosofici, di rifiuti consapevoli e di sperimentazioni sociali.
Una delle arene centrali di questo scontro teorico è la questione dell'agricoltura.
Per Diamond, la transizione neolitica è stata l'innesco di una catena causale inarrestabile: l'agricoltura porta a surplus alimentari, che a loro volta permettono la nascita di società stanziali, dense, gerarchiche, con specialisti (guerrieri, sacerdoti, artigiani) e, infine, con stati e imperi.
Questa sequenza è presentata come una legge quasi universale dello sviluppo sociale.
Graeber, al contrario, attingendo a decenni di scoperte archeologiche e antropologiche, demolisce questa narrazione lineare.
In "L'alba di tutto", Graeber e Wengrow dimostrano come i gruppi umani abbiano "giocato" con l'agricoltura per millenni.
La domesticazione delle piante non fu un evento singolo e irreversibile, ma un processo lungo, spesso reversibile e geograficamente diffuso.
Esistevano società che praticavano forme di orticoltura stagionale per poi tornare a stili di vita foraggeri per il resto dell'anno.
Altre, come quelle della costa del Pacifico nord-occidentale americano, svilupparono società complesse, gerarchiche e artisticamente sofisticate basate sulla pesca, senza agricoltura.
Altre ancora, pur conoscendo le tecniche agricole, scelsero deliberatamente di non adottarle su larga scala, percependole come una fonte di fatica, malattie e, soprattutto, di sottomissione sociale.
Questo "rifiuto dell'agricoltura" è un atto politico incomprensibile all'interno del framework di Diamond, ma centrale nel pensiero di Graeber.
Esso dimostra che le popolazioni del passato non erano semplici massimizzatori di calorie, ma attori politici consapevoli dei compromessi sociali che ogni tecnologia comportava.
La critica si estende inevitabilmente alla nascita dello Stato e della disuguaglianza.
Secondo Diamond, la complessità sociale e la gerarchia sono conseguenze tecnologiche del surplus agricolo.
Più cibo significa più persone, e più persone richiedono inevitabilmente forme di governo centralizzate per gestire le risorse, risolvere le dispute e organizzare opere pubbliche.
Anche qui, Graeber oppone una visione radicalmente diversa.
La disuguaglianza e lo Stato non sono il risultato inevitabile di dinamiche demografiche o tecnologiche, ma il prodotto di specifiche scelte ideologiche e sociali.
Attraverso un'analisi comparativa, Graeber mostra come non esista una correlazione diretta tra scala sociale e gerarchia.
Esistevano città antiche di grandi dimensioni, come quelle della civiltà della valle dell'Indo o mesoamericane, che per secoli hanno funzionato senza apparenti strutture statali centralizzate, senza palazzi reali o templi monumentali dedicati a sovrani divinizzati.
Al contrario, esistevano società di piccole dimensioni estremamente autoritarie.
Per Graeber, le strutture di dominio non emergono "naturalmente", ma devono essere create e mantenute attivamente.
Lo Stato, in particolare, non nasce per risolvere problemi logistici, ma spesso si impone attraverso la violenza, il controllo rituale e la definizione di nuove cosmologie che giustificano il potere di un'élite.
Un altro punto di divergenza fondamentale riguarda il concetto stesso di "sviluppo".
La narrazione di Diamond, pur con tutte le sue precauzioni, rimane implicitamente teleologica.
La storia procede da bande di cacciatori-raccoglitori a tribù, poi a chiefdoms (domini) e infine a stati, con questi ultimi che rappresentano la forma di organizzazione più complessa ed "efficiente".
Graeber e Wengrow definiscono questo schema "evoluzionismo unilineare" e lo smontano pezzo per pezzo, dimostrando come le società umane abbiano sperimentato una varietà sbalorditiva di forme politiche.
Per millenni, i gruppi umani hanno alternato stagionalmente diverse strutture sociali: egualitarie durante i periodi di caccia e raccolta, e più autoritarie durante i periodi rituali o di coltivazione.
La storia umana non è una marcia verso una maggiore complessità gerarchica, ma un carnevale di forme politiche, un laboratorio di possibilità costituzionali.
L'idea che lo stato burocratico centralizzato sia il punto di arrivo della storia è una proiezione della nostra epoca, non un dato di fatto storico.
In conclusione, le critiche di David Graeber alle tesi di Jared Diamond rappresentano uno scontro tra due visioni del mondo e della storia.
Da un lato, Diamond offre una spiegazione potente, deterministica e macro-storica, che riduce l'infinita complessità delle vicende umane a un numero limitato di variabili ambientali.
È una visione che, pur nella sua intenzione di essere anti-razzista, finisce per negare la capacità dei popoli di autodeterminare il proprio destino, rendendoli meri esecutori di un copione scritto dalla geografia.
Dall'altro lato, Graeber, armato degli strumenti dell'antropologia e di una profonda sensibilità anarchica, restituisce alla storia il suo elemento più vitale e imprevedibile: la libertà umana.
La sua opera è un invito a riconsiderare il passato non come una catena di cause ed effetti inevitabili, ma come un vasto archivio di possibilità politiche e sociali che sono state esplorate, adottate, ma anche consapevolmente rifiutate.
La critica di Graeber a Diamond non è quindi una semplice disputa accademica, ma una questione politica fondamentale: la storia è il risultato di vincoli ambientali insuperabili o è il terreno su cui si sono scontrate e continuano a scontrarsi visioni diverse della libertà, dell'uguaglianza e della vita associata?
Per Graeber, la risposta è chiara, e risiede nella capacità umana di immaginare e creare mondi diversi.
David Graeber e David Wengrow: "L'alba di tutto: una nuova storia dell'umanità";
David Graeber: "Debito: i primi 5000 anni".
Jared Diamond: "Armi, acciaio e malattie"
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