Ecologia, Genere e Capitale: prospettive Femministe per una Critica della Modernità.

di socialclimatejustice.blogspot.com

La matrice della dominazione: Patriarcato, Capitalismo e Sfruttamento.

Il pensiero femminista contemporaneo ha sviluppato una critica radicale e multidimensionale alla crisi ecologica globale, svelandone le radici profonde nelle strutture interconnesse del patriarcato, del capitalismo e del colonialismo.
Un contributo che non si limita a denunciare le disuguaglianze, ma propone paradigmi alternativi fondati sulla cura, la riproduzione e i beni comuni.
La critica ecofemminista offre una chiave di lettura indispensabile per comprendere e affrontare le sfide dell'Antropocene.
Al cuore della critica ecofemminista, vi è la tesi fondamentale che la stessa logica di dominio che ha portato allo sfruttamento della natura è inscindibile da quella che ha storicamente sottomesso le donne, i popoli colonizzati e il lavoro non salariato.
Questa tesi smaschera il nesso tra l'accumulazione capitalistica e la "casalinghizzazione".
Un processo che ha relegato le donne alla sfera riproduttiva, rendendo il loro lavoro invisibile e svalutato, parallelamente alla trasformazione della natura da "Terra Madre" a mera risorsa da depredare per il profitto.
La "rivoluzione verde" e i modelli di sviluppo imposti dall'Occidente sono esempi emblematici di come il progresso, misurato in termini di profitto, si traduca in un violento impoverimento per le comunità locali e i loro ecosistemi, colpendo in primis le donne, storiche depositarie delle conoscenze sulla biodiversità e la sussistenza.

Le "Forze di Riproduzione" e la Critica all'Antropocene.

L' "ecologia politica femminista" sposta l'attenzione dalle "forze di produzione" – centrali nell'analisi marxista tradizionale – alle "forze di riproduzione", ovvero l'insieme di lavori, pratiche e saperi (storicamente femminili) che sostengono la vita e il benessere delle comunità umane e non umane.
È proprio l'invisibilizzazione e la svalutazione di questo lavoro di cura che permette al sistema capitalista di esternalizzare i propri costi ecologici e sociali.
"L'Antropocene", in quanto narrazione politica, pur riconoscendo l'impatto umano sul pianeta, rischia di essere politicamente neutralizzante, in quanto occulta le responsabilità storiche differenziate.
Parlare di "Anthropos" (l'umanità intera) maschera il fatto che la crisi climatica è il prodotto di un modello specifico (il Capitalocene) guidato da una minoranza di attori economici e politici, prevalentemente maschi bianchi del Nord globale.
Una prospettiva di genere che si interroghi su chi siano i soggetti più vulnerabili agli impatti climatici, evidenzia come donne, giovani e comunità indigene subiscano le conseguenze più gravi, fornendo una potente visualizzazione cartografica di queste disuguaglianze, mappando dati globali su salute, povertà, lavoro e violenza che confermano in modo inequivocabile la dimensione di genere della crisi globale.

Ricostruire i "Commons" e decostruire i Dualismi.

Una via d'uscita da questa logica predatoria connette storicamente la caccia alle streghe nell'Europa della prima modernità all'espropriazione delle terre comuni e alla distruzione di un mondo precapitalistico in cui le donne avevano un ruolo centrale nella gestione collettiva delle risorse.
La lotta per i commons oggi, dalle comunità contadine in America Latina e Africa alle lotte per i servizi pubblici in Europa, è una lotta femminista per eccellenza, poiché mira a ricostruire forme di riproduzione sociale basate sulla cooperazione e non sull'accumulazione.
Questa ricostruzione richiede anche una rivoluzione filosofica che si proponga di superare il dualismo gerarchico tra cultura e natura che ha legittimato il dominio maschile sul mondo naturale: una "etica della partnership", basata sul rispetto reciproco e sul riconoscimento dell'interdipendenza vitale tra la comunità umana e quella non-umana.
Questo approccio rifiuta tanto l'antropocentrismo quanto un essenzialismo che identifica romanticamente la donna con la natura.
Il genere infatti è una costruzione sociale: un "divenire" piuttosto che un dato biologico.
Questa decostruzione è fondamentale per l'ecofemminismo: il legame tra donne e natura non è un'essenza immutabile, ma un costrutto storico e politico.
Ciò permette di evitare le trappole dell'essenzialismo e di fondare la lotta ecologista non su una presunta vicinanza "naturale" delle donne all'ambiente, ma su una critica politica alla logica del dominio che opprime entrambe.

Verso una "Politica della Vita".

Le radici della crisi ecologica affondano in un sistema economico e culturale che ha sistematicamente svalutato e sfruttato sia la natura che il lavoro riproduttivo e di cura, storicamente associato alle donne.
La critica all'Antropocene come narrazione parziale, la centralità delle "forze di riproduzione", la lotta per i beni comuni e la proposta di un'etica della partnership non sono semplici esercizi accademici, ma strumenti concettuali per forgiare un'alternativa concreta.
Essi ci invitano a ripensare radicalmente le nostre categorie di valore, a superare i dualismi distruttivi della modernità e a costruire una politica fondata non sull'accumulazione senza fine, ma sulla riproduzione e la fioritura della vita in tutte le sue forme.

La "Prospettiva della sussistenza".

Per l'ecofemminismo, l'oppressione delle donne e lo sfruttamento della natura non sono fenomeni paralleli, ma prodotti della stessa radice storica e strutturale: l'emergere del patriarcato capitalista.
Questo sistema si è fondato su un processo di accumulazione originaria che ha richiesto la sottomissione di tre "colonie": le donne, le popolazioni del Sud globale e la natura stessa.
La Casalinghizzazione è il processo attraverso cui le donne vengono relegate al ruolo di casalinghe, il cui lavoro riproduttivo (dare alla luce, crescere, curare, nutrire) viene reso invisibile e non retribuito.
Questo lavoro, tuttavia, è il sussidio fondamentale e nascosto su cui si regge l'intera economia capitalista, che può così abbattere i costi del lavoro salariato maschile.
Processi come la "caccia alle streghe" in Europa, il colonialismo e la sottomissione delle donne, non sono state degli "incidenti storici", ma strategie deliberate per distruggere le economie di sussistenza e imporre un modello basato sul dominio e l'estrazione di valore.
Come alternativa, l'ecofemminismo propone una politica basata sulla produzione per la vita e per i bisogni, non per il profitto: una "prospettiva della Sussistenza".
Questa prospettiva valorizza l'autonomia locale, il lavoro riproduttivo e un rapporto non predatorio con la natura.
Un pensiero fondamentale, quello ecofemminista, che lega indissolubilmente femminismo, anticapitalismo e anticolonialismo, mostrando come la crisi ecologica sia l'esito finale di un modello di civiltà basato sullo sfruttamento di tutto ciò che è stato codificato come "femminile" e "naturale".

Le "Forze di riproduzione".
 
L'ecofemminismo materialista aggiorna e raffina la critica ecofemminista, integrandola con l'ecologia politica e il marxismo critico per forgiare una teoria adatta alle sfide del XXI secolo.
Per comprendere e superare la crisi ecologica, l'analisi deve spostarsi dalle sole "forze di produzione" (fabbriche, tecnologia) alle "forze di riproduzione".
La crisi attuale è una crisi della riproduzione sociale e ambientale, causata dal capitalismo che scarica i suoi costi sul lavoro di cura e sugli ecosistemi.
Le "forze di Riproduzione", come categoria analitica centrale, includono non solo il lavoro biologico e domestico, ma tutto il lavoro umano e non umano che genera e sostiene la vita: dall'agricoltura contadina alla rigenerazione degli ecosistemi, dalla cura dei malati all'educazione.
Questo lavoro è energeticamente e socialmente fondamentale, ma economicamente svalutato.
L'ecofemminismo materialista utilizza il concetto marxiano di "metabolismo sociale" per descrivere il flusso di energia e materia tra la società umana e la natura.
Il capitalismo ha creato un metabolismo insostenibile, basato su un prelievo illimitato di risorse e sulla produzione di scarti tossici, la cui gestione ricade sproporzionatamente sulle donne e sulle comunità marginalizzate.
Un solido ponte tra il pensiero socialista e quello ecofemminista offre uno strumento potente per unire le lotte del lavoro, le lotte ambientaliste e quelle femministe, mostrando che la battaglia per un salario equo, per l'aria pulita e per i servizi di cura sono parte della stessa lotta contro un sistema che sacrifica la vita in nome del profitto.

La dimensione etica e intergenerazionale della crisi ecologica.

Affrontare la crisi climatica attraverso la lente della giustizia, permette di evidenziarne le dimensioni specificamente di genere e generazionali.
Il cambiamento climatico non è un livellatore universale; al contrario, amplifica le disuguaglianze esistenti.
Donne e giovani sono tra le categorie più vulnerabili a causa di ruoli sociali preesistenti, povertà e mancanza di potere decisionale.
Spesso responsabili della raccolta di acqua e legna, le donne vedono il loro carico di lavoro aumentare a causa della siccità e della deforestazione.
Nelle economie agricole di sussistenza, sono le prime a soffrire per la perdita dei raccolti.
Nei disastri naturali, hanno tassi di mortalità più alti a causa di barriere culturali e sociali.
I giovani e le generazioni future erediteranno un pianeta compromesso, portando il peso di decisioni prese da altri.
Questo sposta il dibattito sul clima dal piano puramente scientifico o tecnico a quello della giustizia sociale, rendendo impossibile ignorare il "chi" della crisi climatica: chi soffre di più, chi è più vulnerabile e chi ha la responsabilità morale di agire.

Un'etica di "Partnership".

È quanto mai necessaria una critica profonda dei quadri etici occidentali per proporre un modello alternativo in grado di regolare il rapporto tra umanità e natura.
L'etica occidentale moderna è dominata da un dualismo gerarchico (cultura/natura, uomo/donna, mente/corpo) che ha legittimato lo sfruttamento.
La visione della natura come organismo vivente ("Terra Madre") è stata sostituita, durante la Rivoluzione Scientifica, da una visione meccanicistica, che vede la natura come materia inerte e manipolabile.
Per superare la crisi ecologica, è necessaria una nuova "etica della partnership".
Questo modello rifiuta sia il dominio antropocentrico sia un'immersione totale nell'ecocentrismo e si basa sull'idea di una relazione di mutuo rispetto e responsabilità tra partner umani e non umani.
La natura è vista come un soggetto attivo, un partner con cui negoziare, non una risorsa da sfruttare.
Questa nuova "partnership" andrebbe oltre la semplice conservazione, invitando a una trasformazione radicale del nostro modo di essere-nel-mondo, basata sulla reciprocità e sul riconoscimento del valore intrinseco di ogni essere vivente.

Donne e "Commons".

La transizione al capitalismo ha storicamente richiesto un duplice processo di espropriazione: la recinzione delle terre comuni (enclosures), che ha privato le comunità dei mezzi di sussistenza, e la sottomissione del corpo delle donne, trasformato in una macchina per la produzione di nuovi lavoratori.
La caccia alle streghe fu perciò uno strumento chiave di questo processo.
La distruzione di risorse naturali (terre, foreste) e di un insieme di relazioni sociali basate sulla cooperazione e la gestione collettiva, che ha creato una massa di proletari senza terra, ha indebolito il potere sociale delle donne.
Questo processo non ha riguardato solo la terra, ma anche il corpo, la sessualità e la capacità riproduttiva delle donne.
È necessario perciò politicizzare il concetto di "Commons", mostrandolo non come una reliquia del passato ma come un terreno di lotta cruciale nel presente.
Le lotte femministe per la terra, per l'acqua, per la sovranità alimentare e per i servizi pubblici sono lotte per ricostruire i Commons e resistere a nuove forme di recinzione da parte del neoliberismo.

Il genere come costruzione sociale e culturale.

Per evitare le trappole dell'essenzialismo, l'ecofemminismo ribadisce che il genere è una costruzione sociale e culturale, non un destino biologico.
Le caratteristiche associate alla "femminilità" (come la cura, l'emotività, la vicinanza alla natura) non sono innate, ma sono il prodotto di convenzioni sociali e rapporti di potere: viene così chiarita la distinzione analitica tra il dato biologico (sesso) e il costrutto sociale (genere).
Un'analisi che mira a decostruire l'apparente naturalità delle identità di genere, mostrando invece come esse siano performate e mantenute attraverso pratiche sociali: per l'ecofemminismo, questo argomento è vitale.
Impedisce di cadere nella trappola essenzialista di affermare che le donne sono "per natura" più ecologiche degli uomini.
Al contrario, permette di fondare un'alleanza politica: se il legame storico tra donne e natura è una costruzione sociale derivante da un comune destino di oppressione, allora la lotta ecologista diventa una scelta politica di alleanza contro un sistema di dominio, aperta a tutti i generi.
Il pensiero ecofemminista mostra la vivacità e la pluralità del dibattito femminista su questioni di storia, memoria, lavoro e politica, contesti in cui la dimensione ecologica è sempre più presente.

L'"Antropocene" e lo "Sviluppo": narrazioni politiche.

Quella dell'"Antropocene" è una narrazione pericolosa perché universalizza la colpa ("tutta l'umanità"), nascondendo le responsabilità specifiche del capitalismo, del colonialismo e del patriarcato.
Termini alternativi come "Capitalocene" nominano con maggiore precisione il sistema economico che ha causato la crisi: è una critica epistemologica con profonde implicazioni politiche.
Dati inconfutabili supportano questa tesi.
Mappando le disuguaglianze globali, si dimostra empiricamente come le donne e i gruppi subalterni siano sistematicamente svantaggiati e più esposti agli impatti della crisi ecologica, della povertà e della violenza, a causa dello sfruttamento capitalista.
L'ecofemminismo denuncia frontalmente questo modello di "sviluppo" occidentale come forma di neocolonialismo.
Una forma di "maldevelopment" (mal-sviluppo) che, piuttosto che risolvere la povertà, la crea, distruggendo le economie di sussistenza e la biodiversità.
È necessario invece difendere i sistemi di conoscenza indigeni e il ruolo delle donne e delle comunità contadine del Sud globale, vere protagoniste della resistenza e custodi di un'alternativa ecologica.


"Matter matters. Un’introduzione all’ecofemminismo di Maria Mies"; di Ludovica De Joannon:
http://www.iaphitalia.org/matter-matters-unintroduzione-allecofemminismo-di-maria-mies/

"Forze di riproduzione: l'ecofemminismo socialista e la crisi ecologica mondiale"; di Stefania Barca:
https://deriveapprodi.com/libro/environmental-humanities-vol-1/

"Genere, generazioni e cambiamento climatico"; di B. Bianchi:
www.unive.it/pag/fileadmin/user_upload/dipartimenti/DSLCC/documenti/DEP/numeri/n41-42/18_Bianchi_Introduzione_finestra.pdf

"Partnership"; di Carolyn Merchant:
https://www.unive.it/pag/fileadmin/user_upload/dipartimenti/DSLCC/documenti/DEP/numeri/n20/07_20_-Merchant.pdf

"DEP-Rivista telematica di studi sulla memoria femminile"; di Silvia Federici:
www.unive.it/pag/fileadmin/user_upload/dipartimenti/DSLCC/documenti/DEP/numeri/n20/12_20_-Federici_Donne_e_commons.pdf

"Convenzioni e generi. Donna (o uomo) si nasce o si diventa?"; di V. Tripodi:
https://journals.openedition.org/estetica/1853#tocfrom1n1

"Donne in rivista Vol 15 (2019)":
https://oaj.fupress.net/index.php/sdd/issue/view/593/104

"L'Antropocene, una narrazione politica"; di Stefania Barca:
www.iaphitalia.org/stefania-barca-lantropocene-una-narrazione-politica

"L' atlante delle donne"; di Joni Seager:
www.academia.edu/download/57877654/sampler_flyer_march_2018.pdf

"Sopravvivere allo sviluppo"; di Vandana Shiva:
https://bfp.sp.unipi.it/bibliofdd/shivasas.htm



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