Il crepuscolo dell'abbondanza: genealogia e sviluppo del pensiero sulla Decrescita.

di socialclimatejustice.blogspot.com

Oltre la "religione della crescita".

In un'epoca definita dalla pervasività della crisi ecologica e da crescenti disuguaglianze sociali, il paradigma della "crescita economica infinita", per decenni dogma indiscusso delle società industriali, è sottoposto a una critica sempre più radicale e sistematica.
All'interno di questo fertile terreno di dissenso, il pensiero della "decrescita" emerge come un complesso e articolato progetto culturale, politico e sociale che mira a una profonda riconfigurazione della civiltà.
Lungi dal rappresentare un'utopia regressiva o un inno alla povertà, la decrescita si configura come un progetto per forare l'immaginario economicista e aprire orizzonti di benessere svincolati dall'ossessione del Prodotto Interno Lordo (PIL).
È utile dunque tracciare una genealogia accademica del pensiero della decrescita, analizzando il contributo fondamentale di alcuni dei suoi più insigni teorici, dalle fondamenta bioeconomiche gettate da Nicholas Georgescu-Roegen, alla critica politica dell'ecologia di André Gorz, fino alle elaborazioni più recenti di Serge Latouche e della scuola italo-catalana rappresentata da Federico Demaria e Giorgos Kallis, senza dimenticare il cruciale e precursore dibattito italiano animato da figure come Carla Ravaioli, Giorgio Nebbia, Marino Ruzzenenti e, più recentemente, Marco Deriu.

Le fondamenta termodinamiche: Nicholas Georgescu-Roegen e la "Legge di Entropia".

Qualsiasi discorso rigoroso sulla decrescita non può che iniziare dal lavoro monumentale dell'economista e matematico rumeno Nicholas Georgescu-Roegen.
La sua opera capitale, "The Entropy Law and the Economic Process" (1971), rappresenta una critica epistemologica implacabile nei confronti dell'economia neoclassica.
Georgescu-Roegen dimostra come il processo economico, lungi dall'essere un modello meccanico e circolare di produzione e consumo, come rappresentato nei manuali tradizionali, sia piuttosto un processo fisico, lineare e irreversibile, soggetto alla seconda legge della termodinamica, la legge dell'entropia.
L'argomento centrale è ineludibile: il processo economico preleva materia ed energia a bassa entropia (risorse naturali ordinate e utilizzabili) e le trasforma in beni e servizi, generando inesorabilmente un output di scarti e calore ad alta entropia (inquinamento e disordine).
In termini termodinamici, il bilancio del processo economico è sempre in deficit.
Georgescu-Roegen introduce una distinzione cruciale tra due fonti di bassa entropia per l'umanità: lo stock finito di risorse minerarie terrestri e il flusso costante, ma limitato, di energia solare.
L'economia industriale, basata sul consumo accelerato dello stock terrestre, non fa altro che accelerare la dissipazione irreversibile delle risorse disponibili per le generazioni future.
Questa "visione bioeconomica" smonta alla radice il mito della crescita perpetua e della sostituibilità infinita tra capitale naturale e capitale prodotto dall'uomo.
La critica di Georgescu-Roegen è una condanna senza appello all'arroganza di una scienza economica che ignora i propri fondamenti biofisici, operando in un vuoto pneumatico.
Egli conclude con un pessimismo lucido: la lotta per la bassa entropia è la vera lotta economica dell'umanità e il destino della specie umana è legato alla gestione oculata di questa risorsa scarsa.
Il suo "programma bioeconomico minimale" suggerisce già una direzione: rallentare il consumo di risorse e aumentare la durabilità dei beni, anticipando così i pilastri del futuro movimento per la decrescita.

La critica politica e sociale: Serge Latouche.

Serge Latouche, antropologo ed economista, è senza dubbio la figura più influente e prolifica del movimento.
Nel suo testo manifesto, "Petit traité de la décroissance sereine" (2007), Latouche articola una critica radicale allo "sviluppo" e alla "società della crescita", visti come un'impresa colonizzatrice dell'immaginario che ha sradicato le culture locali e imposto un modello di vita insostenibile e alienante.
Latouche sostiene che la società è stata "mangiata" dall'economia, e che la "crescita per la crescita" è diventata una religione secolare.
Per uscire da questa "tossicodipendenza", l'antropologo propone un percorso di "decolonizzazione dell'immaginario" e di transizione verso una società di "abbondanza frugale".
Questo percorso si articola nel celebre programma delle "otto R": Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare.
Queste azioni non sono semplici prescrizioni tecniche, ma indicano un cambiamento di paradigma: dal valore dell'accumulazione al valore del legame sociale, dalla competizione alla cooperazione, dalla globalizzazione dell'indifferenza alla rilocalizzazione dell'economia e della democrazia.

Una critica ecologica che interseca marxismo ed esistenzialismo: André Gorz.

In opere come "Écologie et politique" (1975), André Gorz collega inscindibilmente la crisi ecologica alla logica del capitalismo e all'alienazione del lavoro.
Per Gorz, la ricerca del profitto spinge a una produzione irrazionale e a un consumo che non risponde a bisogni reali, ma li crea artificialmente.
La sua ecologia politica non si accontenta di una "verniciatura di verde" del sistema, ma invoca una "rivoluzione eco-socialista".
Centrale nel suo pensiero è la liberazione dal lavoro eteronomo e la riduzione dell'orario di lavoro come precondizione per una vita più ricca di senso, dedicata ad attività autogestite, alla convivialità e alla cura.
Gorz anticipa così un tema cardine della decrescita: vivere meglio lavorando meno e consumando in modo più consapevole.

Il dibattito italiano: precursori e sviluppi.

Il pensiero della decrescita in Italia affonda le sue radici in un vivace dibattito critico sullo sviluppo industriale e sui suoi costi sociali e ambientali, animato da figure intellettuali di grande spessore già a partire dagli anni '70 e '80.
Carla Ravaioli, giornalista e saggista femminista e ambientalista, ha offerto un contributo pionieristico con la sua critica al consumismo e al modello di sviluppo.
In libri-inchiesta come "Il pianeta degli economisti ovvero l'economia contro il pianeta" (1992), Ravaioli mette a nudo l'incapacità e la riluttanza della scienza economica dominante a integrare il "fattore Terra" nei propri modelli.
Attraverso interviste a celebri economisti, ne svela la scarsa sensibilità ecologica e la fede incrollabile in una crescita che ignora i limiti fisici del pianeta e i costi umani della distruzione ambientale.
Il suo lavoro ha il merito di politicizzare la questione ambientale, smascherando l'ideologia che si cela dietro la presunta neutralità dei modelli economici.
Un precursore fondamentale, la cui importanza è stata magistralmente ricostruita da Marino Ruzzenenti nel volume: "Giorgio Nebbia. Precursore della decrescita. L'ecologia comanda l'economia" (2022), è Giorgio Nebbia.
Chimico e merceologo, Nebbia è stato tra i primi in Italia a sostenere la necessità di applicare le leggi della biofisica, in particolare la termodinamica, allo studio dei cicli produttivi.
Già negli anni '70, egli argomentava che l'economia deve sottostare ai vincoli ecologici e non viceversa.
La sua visione, che intrecciava rigore scientifico e una profonda sensibilità sociale, lo portò a criticare aspramente un modello di crescita che genera "più merci e meno valori", sottolineando l'insostenibilità di un'economia basata sul saccheggio delle risorse e sulla produzione di rifiuti.
Anche Marino Ruzzenenti, storico dell'ambiente, ha contribuito in modo significativo al dibattito, analizzando le radici storiche della crisi ecologica in Italia e promuovendo l'opera di Nebbia come faro per il pensiero della decrescita.
In questo solco si inserisce il lavoro più recente del sociologo Marco Deriu, che in "Verso una civiltà della decrescita" (2016) sistematizza e amplia la riflessione, ponendo l'accento sulla necessità di una transizione che non sia solo economica, ma anche culturale e antropologica.
Deriu esplora le connessioni tra la crisi ecologica e la crisi della democrazia, sostenendo che una società della decrescita richiede nuove forme di partecipazione e una "democrazia ecologica" fondata sulla cura dei beni comuni e sulla demilitarizzazione dell'immaginario.

La sistematizzazione contemporanea: Demaria, Kallis e la "Via Catalana".

Negli ultimi anni, il pensiero della decrescita ha conosciuto una fase di consolidamento e internazionalizzazione accademica, in gran parte animata dal gruppo di ricerca "Research & Degrowth" di Barcellona.
In questo contesto, l'opera collettiva "Degrowth: A Vocabulary for a New Era" (2014), curata da Giacomo D'Alisa, Federico Demaria e Giorgos Kallis, segna una tappa fondamentale.
Il libro non si presenta come un manifesto monolitico, ma come un "mosaico" di concetti, idee e proposte che definiscono il campo della decrescita.
Attraverso una serie di voci (da "PIL" a "Beni Comuni", da "Lavoro" a "Convivialità"), il volume esplora le diverse dimensioni della critica alla crescita e delinea le politiche per una transizione equa e sostenibile.
Kallis, economista ecologico, argomenta che la crescita sia diventata "antieconomica", poiché i suoi costi sociali e ambientali superano i benefici.
Demaria, da parte sua, sottolinea la dimensione di giustizia ambientale globale, evidenziando come la decrescita nel Nord del mondo sia una precondizione per la decolonizzazione e l'autodeterminazione dei popoli del Sud.
L'opera si caratterizza per il rigore accademico, l'apertura al dialogo con diversi movimenti sociali e la volontà di tradurre la critica teorica in proposte politiche concrete, come il reddito di base incondizionato, la tassazione ecologica, la promozione di economie locali e cooperative.

Una transizione necessaria e desiderabile.

Il pensiero della decrescita, come delineato attraverso le opere di questi autori, si rivela tutt'altro che una proposta monolitica o semplicistica.
È un campo intellettuale vibrante e in evoluzione, che parte da una solida critica scientifica all'insostenibilità fisica della crescita infinita (Georgescu-Roegen, Nebbia), si sviluppa in una profonda critica politica e sociale al capitalismo, al consumismo e all'alienazione (Gorz, Latouche, Ravaioli), e approda a una fase di elaborazione di alternative concrete e accademicamente fondate (Deriu, Kallis, Demaria).
La sfida lanciata da questi pensatori è radicale: abbandonare la fede cieca in un progresso quantitativo e abbracciare una visione qualitativa del benessere.
La decrescita non è la fine, ma la ridefinizione della prosperità.
È un invito a immaginare e costruire collettivamente società più giuste, più eque e più in armonia con i limiti del pianeta; società dove la felicità non dipenda dall'accumulo frenetico di merci, ma dalla ricchezza delle relazioni umane, dalla qualità del tempo e dalla salute degli ecosistemi.
In un mondo che affronta crisi convergenti, la "decrescita" non si presenta più come una scelta, ma come una transizione necessaria, e, per molti, sempre più desiderabile.


Nicholas Georgescu-Roegen: "The Entropy Law and the Economic Process";

Serge Latouche: "Petit traité de la décroissance sereine";

André Gorz: "Écologie et politique";

Carla Ravaioli: "Il pianeta degli economisti ovvero l'economia contro il pianeta";

Giorgio Nebbia: "Ecologia ed economia. Tre tesi per un nuovo dibattito";

Marino Ruzzenenti: "Giorgio Nebbia. Precursore della decrescita. L'ecologia comanda l'economia";

Marco Deriu: "Verso una civiltà della decrescita";

Giacomo D'Alisa, Federico Demaria e Giorgos Kallis: "Degrowth. A Vocabulary for a New Era".



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