Un'odissea ideologica tra diaspora, liberazione e unità
Il panafricanismo, emerso come grido di dignità e solidarietà tra le popolazioni africane schiavizzate e disperse nel mondo, si è evoluto in un progetto politico per la decolonizzazione del continente, per trasformarsi poi in un ideale di unità continentale e, infine, in una visione poliedrica che affronta le sfide della globalizzazione.
Tracciarne la genealogia significa navigare attraverso congressi storici, dibattiti infuocati tra leader carismatici, opere letterarie rivoluzionarie e complesse realtà geopolitiche che hanno plasmato l'Africa e la diaspora.
Le radici diasporiche: la coscienza nera oltre l'Atlantico (Fine XIX Secolo - 1945)
Il panafricanismo non è nato in Africa, ma nelle Americhe e in Europa, come risposta intellettuale e politica alla duplice brutalità della tratta degli schiavi e del razzismo "scientifico".
Fu nella diaspora che la coscienza di un'origine e di un destino comune prese forma.
Figure proto-panafricaniste come Martin Delany e Edward Wilmot Blyden, già nel XIX secolo, articolarono l'idea di una "personalità africana distinta" e la necessità per le persone afrodiscendenti di forgiare un proprio futuro, separato dal dominio bianco.
Tuttavia, il movimento trovò la sua prima espressione organizzata con l'avvocato trinidadiano Henry Sylvester Williams, che coniò il termine e convocò la Prima Conferenza Panafricana a Londra nel 1900.
Questo evento fu fondamentale per riunire intellettuali e attivisti dalla diaspora e da alcune colonie africane, ponendo le basi per una solidarietà transnazionale.
La figura dominante di questa prima fase fu senza dubbio lo studioso e attivista afroamericano W.E.B. Du Bois.
Considerato il "padre del panafricanismo moderno", Du Bois organizzò una serie di Congressi Panafricani (1919 a Parigi, 1921 a Londra, Bruxelles e Parigi, 1923 a Londra e Lisbona, 1927 a New York).
Questi congressi chiedevano una maggiore autonomia per le colonie e la fine della discriminazione razziale, operando all'interno del sistema internazionale esistente.
La visione di Du Bois, intrisa del suo concetto di "doppia coscienza" (la sensazione di essere contemporaneamente africano e americano), mirava a un riscatto intellettuale e politico del mondo nero.
Parallelamente e talvolta in opposizione a Du Bois, emerse la figura carismatica di Marcus Garvey.
Il suo movimento, l'Universal Negro Improvement Association (UNIA), rappresentò una variante più radicale del panafricanismo.
A differenza dell'approccio elitario di Du Bois, Garvey mobilitò milioni di persone con un messaggio di orgoglio razziale, autosufficienza economica (attraverso imprese come la Black Star Line) e un appello quasi messianico al "ritorno in Africa".
Sebbene il suo progetto politico fallì, l'impatto di Garvey nel diffondere una coscienza di massa nera e un orgoglio panafricano fu immenso, influenzando le generazioni future.
L'età d'oro: Decolonizzazione e Unità Continentale (1945 - 1970)
Il punto di svolta che traghettò il panafricanismo dalla diaspora al continente fu il Quinto Congresso Panafricano di Manchester nel 1945.
Organizzato da figure come George Padmore, questo congresso vide la partecipazione dei futuri leader dell'indipendenza africana, tra cui Kwame Nkrumah (Ghana), Jomo Kenyatta (Kenya) e Nnamdi Azikiwe (Nigeria).
Il tono cambiò radicalmente: non più petizioni, ma una chiara richiesta di autodeterminazione totale e immediata.
Kwame Nkrumah divenne l'incarnazione di questa nuova fase.
Primo presidente del Ghana indipendente (1957), vedeva la liberazione del suo paese solo come il primo passo: "L'indipendenza del Ghana non ha senso se non è legata alla liberazione totale del continente africano".
Nkrumah fu il principale fautore di una visione federalista: la creazione degli "Stati Uniti d'Africa", un'entità politica ed economica unita, capace di resistere al neocolonialismo.
Questa visione radicale si scontrò presto con una corrente più gradualista.
Si delinearono due blocchi principali.
Il Gruppo di Casablanca, guidato da Nkrumah, che includeva leader come Sékou Touré (Guinea), Gamal Abdel Nasser (Egitto) e Modibo Keïta (Mali), spingeva per una rapida integrazione politica e una federazione.
Il Gruppo di Monrovia, che comprendeva la maggior parte degli altri stati, tra cui Nigeria e Liberia, e leader come Léopold Sédar Senghor (Senegal), favoriva un approccio più cauto, basato sulla cooperazione tra stati sovrani e il rispetto assoluto dei confini ereditati dal colonialismo.
Il compromesso tra queste due visioni portò alla nascita dell'Organizzazione dell'Unità Africana (OUA) nel 1963 ad Addis Abeba.
Sebbene la sua creazione fu un trionfo simbolico per il panafricanismo, la sua carta costitutiva rappresentò una vittoria per l'approccio del Gruppo di Monrovia.
I principi di sovranità statale e non ingerenza negli affari interni prevalsero sul sogno federalista di Nkrumah.
L'OUA svolse un ruolo cruciale nel sostenere i movimenti di liberazione ancora attivi (in Angola, Mozambico, Sudafrica), ma la sua struttura ne limitò l'efficacia nell'affrontare i conflitti interni e le derive autoritarie post-indipendenza.
In questa epoca, il pensiero di Frantz Fanon, psichiatra martinicano e combattente per la liberazione algerina, divenne un faro.
In opere come "I dannati della terra" (1961), Fanon analizzò la psicologia della colonizzazione e sostenne che la violenza decolonizzatrice potesse essere un atto catartico necessario per liberare il colonizzato dal suo complesso di inferiorità.
Il suo pensiero influenzò profondamente i movimenti di liberazione in tutto il mondo.
Panafricanismo culturale: la Négritude e la letteratura post-coloniale
Parallelamente al movimento politico, si sviluppò un potente panafricanismo culturale.
L'espressione più influente fu la Négritude, un movimento letterario e filosofico nato a Parigi negli anni '30 da intellettuali francofoni.
I suoi fondatori, il martinicano Aimé Césaire, il senegalese Léopold Sédar Senghor e il guyanese Léon-Gontran Damas, rivendicavano con orgoglio l'identità e i valori culturali neri, in opposizione all'assimilazionismo culturale francese.
Césaire, nel suo capolavoro "Cahier d'un retour au pays natal", articolò una potente critica al colonialismo e una celebrazione della "negritudine".
Senghor, futuro presidente del Senegal, ne sviluppò l'aspetto filosofico.
La Négritude, pur fondamentale, non fu esente da critiche.
Lo scrittore nigeriano e premio Nobel Wole Soyinka la liquidò ironicamente con la famosa frase: "Una tigre non proclama la sua tigritudine, salta sulla sua preda e la divora".
Per Soyinka e altri intellettuali anglofoni come Chinua Achebe, l'enfasi sulla razza rappresentava una trappola essenzialista.
Autori come Achebe, con il suo romanzo fondamentale "Il crollo" (Things Fall Apart, 1958), cercarono piuttosto di ricostruire la complessità e la dignità delle società africane pre-coloniali, sfidando la narrativa europea.
Autrici come la senegalese Mariama Bâ ("Une si longue lettre", 1979) e la nigeriana Buchi Emecheta iniziarono a mettere in discussione le strutture patriarcali sia tradizionali che post-coloniali, introducendo una prospettiva femminista nel dibattito panafricano.
Allo stesso modo, attiviste politiche come la nigeriana Funmilayo Ransome-Kuti furono figure centrali nella lotta anti-coloniale, sebbene la loro memoria sia stata spesso messa in ombra dalle controparti maschili.
Crisi, Neocolonialismo e la ricerca di un nuovo paradigma (Anni '70 - 2000)
Gli anni '70 e '80 segnarono un periodo di profonda crisi per il sogno panafricanista.
Colpi di stato, guerre civili, la Guerra Fredda che trasformava l'Africa in un campo di battaglia per procura, la crisi del debito e i Programmi di Aggiustamento Strutturale imposti dal FMI e dalla Banca Mondiale minarono la sovranità economica e politica faticosamente conquistata; in questo contesto l'OUA si dimostrò largamente impotente.
Lo storico e attivista guyanese Walter Rodney nel suo "Come l'Europa ha sottosviluppato l'Africa" (1972), dimostrava invece come lo sviluppo europeo fosse stato storicamente dipendente dal sistematico sottosviluppo dell'Africa.
Una figura luminosa e tragica di questo periodo fu Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso dal 1983 al 1987.
Sankara incarnò una nuova forma di panafricanismo rivoluzionario, pragmatico e anti-imperialista.
Promosse l'autosufficienza alimentare, i diritti delle donne, la lotta alla corruzione e respinse il debito estero come forma di neocolonialismo.
Il suo assassinio fu un colpo devastante per le speranze di un rinnovamento panafricano.
Successivamente, la fine dell'Apartheid in Sudafrica nel 1994 e la fine della Guerra Fredda crearono un nuovo spazio politico.
L'inefficacia dell'OUA divenne insostenibile, portando alla sua dissoluzione e alla creazione dell'Unione Africana (UA) nel 2002.
L'UA nacque con un mandato più robusto, che includeva il diritto di intervenire negli stati membri in caso di gravi crimini contro l'umanità (Articolo 4(h) dell'Atto Costitutivo), un'architettura di pace e sicurezza più solida e ambiziosi progetti di integrazione economica come il NEPAD (New Partnership for Africa's Development).
Il Panafricanismo nel XXI Secolo: tra integrazione economica e sfide globali
Oggi, il panafricanismo ha assunto nuove forme.
Il focus si è spostato dall'unità politica a quella economica.
Il progetto più ambizioso in questo senso è l'Area di Libero Scambio Continentale Africana (AfCFTA), entrata in vigore nel 2021, che mira a creare il più grande mercato unico del mondo, stimolando il commercio intra-africano e riducendo la dipendenza dai mercati esteri.
Il panafricanismo contemporaneo è anche digitale.
I social media hanno creato nuove connessioni tra il continente e la sua diaspora globale.
Movimenti come Black Lives Matter hanno avuto una profonda risonanza in Africa, evidenziando la persistenza del razzismo sistemico e la solidarietà globale nella lotta per la giustizia.
Iniziative come "The Year of Return" in Ghana hanno incoraggiato la diaspora a riconnettersi con le proprie radici ancestrali.
Culturalmente, il "soft power" africano è in piena espansione: la musica Afrobeat, l'industria cinematografica di Nollywood, la moda e l'arte africane godono di un'influenza globale senza precedenti, realizzando una forma di orgoglio e riconoscimento culturale che i padri della Négritude non potevano neppure immaginare.
Tuttavia, le sfide rimangono immense.
Le complesse eredità della dipendenza dall'esportazione di materie prime e della governance fragile, l'impatto del cambiamento climatico, il terrorismo e l'influenza di nuove potenze globali pongono interrogativi profondi.
Un panafricanismo femminista, guidato da pensatrici come Amina Mama e Sylvia Tamale, continua a criticare le strutture patriarcali all'interno del movimento e delle istituzioni panafricane.
La gioventù africana, la più numerosa al mondo, chiede lavoro, partecipazione e un futuro che vada oltre le stantie retoriche del passato.
Un fiume carsico
Il panafricanismo è un'ideologia in perenne divenire, un fiume carsico che a volte scompare sotto la superficie delle crisi politiche per poi riemergere con rinnovato vigore.
Nato da un'esperienza di sofferenza condivisa, si è trasformato in un progetto di liberazione, poi in un'architettura istituzionale e oggi in una complessa rete di aspirazioni economiche, culturali e digitali.
Da Du Bois a Nkrumah, da Fanon a Sankara, da Césaire a Mariama Bâ, il filo rosso che unisce queste figure è la convinzione che il destino dei popoli africani e afrodiscendenti, sul continente e nella diaspora, sia indissolubilmente legato.
Nell'era della globalizzazione, delle pandemie e delle crisi climatiche, l'appello del panafricanismo all'unità, alla solidarietà e all'autodeterminazione rappresenta una bussola quanto mai necessaria per navigare le incertezze del futuro.
Il sogno di un'Africa unita e prospera non sembra ancora a portata di mano, ma il suo viaggio ideologico continua a ispirare e a mobilitare.
Adi, Hakim, and Marika Sherwood: "Pan-African History: Political Figures from Africa and the Diaspora since 1787";
Achebe, Chinua: "Things Fall Apart";
Bâ, Mariama: "Une si longue lettre";
Césaire, Aimé: "Cahier d'un retour au pays natal";
Du Bois, W.E.B.: "The World and Africa: An Inquiry into the Part Which Africa Has Played in World History";
Esedebe, P. Olisanwuche: "Pan-Africanism: The Idea and Movement, 1776-1991";
Fanon, Frantz: "Les Damnés de la Terre";
Geiss, Imanuel: "The Pan-African Movement: A History of Pan-Africanism in America, Europe and Africa";
Nkrumah, Kwame: "Africa Must Unite";
Padmore, George: "Pan-Africanism or Communism? The Coming Struggle for Africa";
Rodney, Walter: "How Europe Underdeveloped Africa";
Senghor, Léopold Sédar: "Liberté 1: Négritude et humanisme";
Soyinka, Wole: "Myth, Literature, and the African World".
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