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Convergenze per la Giustizia Climatica nell'Antropocene.
La crisi ecologica contemporanea, lungi dall'essere un mero problema tecnico o un'esternalità negativa di un sistema altrimenti sano, si rivela come la manifestazione più acuta e totalizzante di una profonda crisi di civiltà, radicata nelle logiche intrinseche del capitalismo.
Per mettere in luce la natura sistemica di tale crisi e le forme di resistenza, analisi e proposta che emergono da una pluralità di voci critiche – movimenti sociali, accademici, attivisti e comunità indigene, e per formulare una risposta efficace e giusta alla devastazione ambientale, non si può che passare per una convergenza strategica delle lotte anticapitaliste, transfemministe, decoloniali e per la giustizia sociale.
Per evidenziare il nesso inscindibile tra accumulazione capitalistica e distruzione ecologica, è necessario utilizzare la lente della giustizia ambientale: per comprendere le disuguaglianze e mappare le alternative emergenti, bisogna guardare all'ambientalismo operaio e alle proposte di sovranità dal basso.
Il "Capitalismo dell'estinzione": una diagnosi radicale.
Il punto di partenza ineludibile per comprendere la crisi attuale è il riconoscimento del ruolo del capitalismo come motore della devastazione: il "capitalismo dell'estinzione".
La logica dell'accumulazione infinita di capitale su un pianeta finito è infatti intrinsecamente insostenibile.
La "vita", in tutte le sue forme, si ribella a un sistema che la mercifica, la sfrutta e in ultima istanza, la minaccia di annientamento.
La crisi climatica non è affrontabile con aggiustamenti tecnici o "greenwashing": la radice del problema consiste nel conflitto insanabile tra le esigenze della vita (umana e non umana) e le esigenze di accumulazione del capitale.
Il capitale mercifica, sfrutta e distrugge le basi stesse dell'esistenza.
I movimenti per la giustizia climatica hanno lanciato un urgente appello all'azione; una chiamata alla mobilitazione e alla ribellione generalizzata contro questo sistema, unendo le lotte per il clima a quelle sociali, del lavoro e per i diritti.
L'imperativo della crescita dunque, centrale nel modello capitalista, è il principale ostacolo a una vera giustizia climatica.
I paesi ad alto reddito del Nord globale sono storicamente i principali responsabili della crisi ecologica; per questa ragione il concetto di "debito ecologico" fornisce una forte base (scientifica) per le richieste di riparazioni climatiche da parte del Sud globale.
Per smontare la narrativa della "crescita verde", è sufficiente evidenziare (utilizzando dati biofisici) come il disaccoppiamento tra PIL e impatti ambientali non possa avvenire alla velocità necessaria per evitare il collasso climatico.
Inoltre, non vi è alcuna prova empirica che una crescita economica continua (misurata dal PIL) possa essere "disaccoppiata" in modo assoluto e sufficientemente rapido dagli impatti ambientali: l'unica soluzione sembrerebbe essere quella di un "abbandono pianificato dell'imperativo della crescita nei paesi ricchi" (Decrescita).
Interi ecosistemi sono oggi "venduti come merce" e trasformati in "asset finanziari", oggetto di speculazione.
Questo processo allontana ulteriormente la gestione delle risorse dalle comunità locali e dalle loro reali esigenze ecologiche.
I movimenti sociali (contadini, indigeni, comitati territoriali) si oppongono a questa logica, rivendicando la gestione comunitaria dei beni comuni e proponendo modelli economici alternativi basati sulla cura e la riproduzione della vita, non sul profitto.
Il capitalismo neoliberista ha invece esteso la logica del mercato a ogni sfera della vita, inclusi beni comuni naturali come acqua, foreste, e persino il ciclo del carbonio (attraverso i mercati delle emissioni).
L'acqua, una delle risorse più contese, è diventata l'emblema di questa dinamica.
Il fenomeno del "water grabbing" – l'accaparramento di risorse idriche da parte di attori statali e corporativi – non è un incidente di percorso, ma l'esito logico di un sistema che trasforma un diritto umano fondamentale in una commodity.
La scarsità d'acqua si manifesta oggi come un problema globale crescente, esacerbato dai cambiamenti climatici e da una gestione insostenibile.
Attori potenti, come grandi industrie (agroalimentari, energetiche, minerarie) e stati nazionali, si assicurano il controllo di enormi quantità di risorse idriche a discapito delle popolazioni locali, dell'agricoltura di sussistenza e degli ecosistemi.
Esiste una tensione fondamentalmente insanabile tra la concezione dell'acqua come diritto umano universale e la sua trasformazione in "oro blu", una merce da cui estrarre profitto.
Giustizia Ambientale: svelare le geografie della Disuguaglianza.
Se il capitalismo è il motore della crisi, i suoi impatti non sono distribuiti equamente.
Il paradigma della giustizia ambientale fornisce la lente analitica per comprendere questa distribuzione diseguale.
La giustizia ambientale, nata dalle lotte delle comunità razzializzate e a basso reddito negli Stati Uniti, ha svelato come l'inquinamento e la devastazione ambientale seguano le faglie preesistenti del razzismo, del sessismo e delle disuguaglianze di classe.
La giustizia ambientale riguarda anche il diritto alla partecipazione politica delle comunità locali e il riconoscimento di culture e saperi alternativi.
Essa svela come il razzismo ambientale faccia sì che le comunità più vulnerabili (spesso razzializzate e povere) sopportino un carico sproporzionato di danni ambientali.
L'ingiustizia ambientale opera dunque su diverse scale: dal corpo individuale (esposto a tossine) al quartiere, alla nazione, fino alla scala planetaria (il "debito ecologico" del Nord globale verso il Sud globale).
La giustizia ambientale non richiede solo una più equa distribuzione degli effetti nefasti dello sviluppo industriale, ma un cambiamento trasformativo che smantelli i sistemi di potere (razzismo, capitalismo, colonialismo) che riproducono tali ingiustizie.
È necessario tuttavia comprendere come una nozione di "giustizia universale" debba necessariamente farsi carico delle differenze e delle vulnerabilità specifiche.
Questa prospettiva è fondamentale per interpretare i conflitti ambientali a livello globale.
Una concezione della giustizia che, in nome di un'astratta "uguaglianza universale", ignori le differenze reali (di genere, classe, cultura, abilità), finisce per rafforzare i privilegi del gruppo dominante (storicamente, il maschio bianco proprietario).
Il pensiero femminista e quello post-coloniale hanno introdotto la necessità di riconoscere e valorizzare le differenze come punto di partenza per una giustizia più inclusiva e concreta.
Questo è un punto fondamentale per la giustizia ambientale, che deve riconoscere le vulnerabilità specifiche di gruppi diversi.
Gli impatti dei progetti di sviluppo estrattivo documentano infatti come le popolazioni indigene subiscano in modo sproporzionato gli effetti devastanti provocati da miniere, dighe e piantagioni industriali.
Questi progetti non solo distruggono interi ecosistemi, ma sradicano culture, modi di vita e sistemi di conoscenza alternativi, perpetuando una forma di "colonialismo ambientale".
I progetti estrattivi (miniere, dighe, piantagioni, ecc.) sono sistematicamente legati alla violazione dei diritti umani, all'accaparramento di terre e alla violenza contro gli attivisti ambientali.
Le popolazioni indigene sono le vittime principali; i loro territori, che ospitano l'80% della biodiversità mondiale, sono l'obiettivo primario di questi progetti, che distruggono mezzi di sussistenza, culture e spiritualità.
I sistemi indigeni di conoscenza e di gestione del territorio rappresentano delle alternative vitali e sostenibili al modello estrattivista e dovrebbero essere posti al centro delle soluzioni alla crisi ecologica e climatica.
La convergenza tra lotta anticapitalista e anti-estrattivista emerge dunque non solo come opzione politica, ma anche come necessità strategica.
La lotta per la giustizia climatica e ambientale (in Italia e altrove) deve riconoscere che l'estrattivismo è un "sistema di dominio" che riproduce gerarchie di genere, razza e classe.
Nessuna lotta può vincere da sola; la lotta per la giustizia climatica deve necessariamente convergere con quella anticapitalista (contro la logica del profitto), transfemminista (contro le gerarchie di genere e il sistema patriarcale) e anti-estrattivista (contro il saccheggio delle risorse e dei territori).
L'estrattivismo non rappresenta solo una mera estrazione di minerali, ma una logica pervasiva di sfruttamento che si applica alle risorse, ai corpi (lavoro) e ai dati (capitalismo digitale).
Una vera "politica insurrezionale" non potrà accontentarsi di negoziare con il potere, ma dovrà mirare a costruire contropoteri dal basso, unendo le diverse soggettività in lotta.
La criminalità del Sistema.
L'analisi della crisi richiede anche nuovi strumenti concettuali e linguistici.
Spostando il focus dal concetto di "reato" (definito dallo Stato, spesso complice dei crimini ecologici) a quello di "danno" (ciò che causa sofferenza e distruzione ecologica e sociale), la "criminologia verde" permette di criminalizzare le azioni delle corporation e degli stati che, pur essendo legali, causano devastazione ecologica e sociale.
Questo permette di considerare come illecite azioni che, pur essendo legali, sono ecologicamente devastanti (es. le emissioni di un'azienda fossile).
Questo approccio si concentra sui crimini commessi da attori potenti (come stati e corporazioni) che sono spesso i principali responsabili del danno ambientale ma sfuggono alla giustizia penale tradizionale.
La criminologia verde studia anche le vittime dei crimini ambientali, evidenziando come queste siano spesso le popolazioni più marginalizzate, in una prospettiva allineata con la giustizia ambientale.
Ad esempio, nel Mezzogiorno d'Italia le economie legali e illegali si intrecciano nello sfruttamento del territorio, rendendo labile il confine tra "sviluppo" e criminalità.
Le economie criminali (mafie) non sono un corpo estraneo, ma si intrecciano profondamente con l'economia "legale" e la politica, specialmente nello sfruttamento delle risorse: ciclo dei rifiuti, speculazione edilizia, agro-business.
A fronte di questo modello di "malsviluppo", esistono nei territori esperienze di resistenza e di costruzione di alternative.
Queste includono la riappropriazione di terre confiscate alle mafie per un'agricoltura sociale e biologica, e la creazione di circuiti basati sulla solidarietà e la sostenibilità.
Un'attenta riflessione sulle "parole" del cambiamento climatico è oggi più che mai cruciale.
Termini come "transizione ecologica", "sviluppo sostenibile" o "capitale naturale" non sono neutri.
Essi possono essere cooptati da un discorso dominante che mira a "riverniciare di verde" il capitalismo ("greenwashing"), depoliticizzando la crisi e occultandone le cause strutturali.
Costruire un lessico alternativo – che parli di "debito ecologico", "colonialismo climatico", "giustizia climatica" – è parte integrante della lotta politica.
Il lessico utilizzato per descrivere la crisi climatica modella infatti la nostra "percezione" del problema e delle sue soluzioni.
Termini come "sviluppo sostenibile", "economia circolare", "crescita verde", vengono oggi usati per mascherare la continuità di un modello di sviluppo predatorio.
Le lotte e le alternative.
La critica radicale al sistema non si esaurisce nella teoria ma si nutre, alimentandole, di lotte concrete.
Esiste una lunga storia di "contestazione ecologica", spesso intrecciata con le lotte per la salute nei luoghi di lavoro; conoscerne la genealogia è dunque fondamentale per comprendere le sfide attuali.
Una storia "dal basso" dell'ambientalismo, mostra come esso non nasca da un'astratta preoccupazione per la natura, ma da conflitti concreti.
In Italia, ad esempio, la storia dell''"ambientalismo operaio" (una forma di ambientalismo dei poveri) dimostra come le lotte per la salute nelle fabbriche e nei quartieri inquinati siano state (e tuttora sono) una forma potente di coscienza ecologica.
La salute dei corpi è infatti inseparabile dalla salute dell'ambiente: la lotta ecologica è sempre una lotta per i corpi e per i territori, contro le "tossicità" prodotte dal modello di sviluppo industriale.
Oggi ad esempio, la lotta degli operai ex GKN, con il loro slogan "Insorgiamo", non si limita ad una vertenza sindacale classica, ma connette la difesa del lavoro con la necessità di una riconversione ecologica dal basso, elaborando un "piano per il futuro della fabbrica" che sfida la logica del profitto.
La lotta degli operai è un esempio emblematico della possibile convergenza tra lotte per il lavoro e movimento per la giustizia climatica.
Di fronte alla delocalizzazione, gli operai non hanno solo chiesto di salvare i loro posti di lavoro, ma hanno proposto un piano per riconvertire la fabbrica a una produzione socialmente ed ecologicamente utile (es. bus elettrici, pannelli solari, cargo-bike elettriche).
"Insorgiamo", lo slogan del collettivo ex GKN, segna il passaggio da una vertenza difensiva a una proposta trasformativa, che unisce la giustizia sociale (il diritto al lavoro e al salario) alla giustizia climatica.
Questa esperienza incarna la sfida della "convergenza" tra movimento operaio e movimento climatico, per un "conflitto climatico e di classe".
Questo collettivo operaio rigetta la narrazione di una "green transition" pacifica e gestita dall'alto, che spesso si traduce in nuove forme di sfruttamento e precarietà per i lavoratori.
Al contrario, propone un conflitto che tenga insieme giustizia sociale e giustizia climatica, riconoscendo che la classe lavoratrice è uno dei soggetti chiave per imporre un cambiamento reale, promuovendo così un'analisi di classe della crisi climatica.
La transizione sarà infatti un enorme terreno di conflitto di classe, perché impatterà su lavoro, salari, prezzi e condizioni di vita.
Lo slogan "Strike the Green Transition!" è un rifiuto della transizione nella sua versione neoliberista, che scarica i costi sui lavoratori e sulle classi popolari mentre crea nuove opportunità di profitto per le imprese.
L'obiettivo è imporre una transizione dal basso, che metta al centro gli interessi della classe lavoratrice e della collettività: un salario migliore e un welfare più forte sono condizioni necessarie per garantire una transizione socialmente giusta.
Le alternative prendono forma anche nelle proposte di riappropriazione dei beni comuni energetici.
Le soluzioni "verdi" del Nord globale si basano spesso sullo sfruttamento di terre e risorse nel Sud del mondo.
Si tratta al contrario di immaginare e costruire sistemi energetici decentralizzati, democratici e controllati dalle comunità, in antitesi al modello centralizzato e corporativo delle energie fossili e, troppo spesso, anche delle grandi rinnovabili.
Ad esempio, le auto elettriche del Nord globale richiedono l'estrazione di litio e cobalto in condizioni di sfruttamento estremo nel Sud globale.
La transizione energetica "dall'alto" rischia così di essere solo un nuovo capitolo del colonialismo.
Come alternativa, in un modello di "sovranità energetica", le comunità dovrebbero avere il diritto di decidere come l'energia viene prodotta e distribuita sul loro territorio, favorendo modelli decentralizzati, democratici e di proprietà pubblica o comunitaria.
Verso un'ecologia politica della "Convergenza".
La crisi ecologica è dunque una crisi del capitalismo.
Le sue conseguenze sono distribuite in modo profondamente ingiusto, ricalcando e aggravando le disuguaglianze strutturali di classe, razza, genere e geopolitiche.
Le risposte non possono che essere all'altezza di questa complessità.
Non bastano "soluzioni tecnologiche" né "aggiustamenti di mercato"; è necessaria una trasformazione sistemica.
Le lotte per la giustizia ambientale, la critica al colonialismo climatico e le esperienze di convergenza tra movimento operaio e movimento ecologista indicano la via.
Si tratta di costruire un'ecologia politica insurrezionale, capace di unire la difesa dei territori e dei corpi, la lotta per la riappropriazione dei beni comuni e la costruzione di economie basate sulla cura, la cooperazione e la democrazia.
La "ribellione della vita contro il capitale" non è uno slogan, ma il progetto politico più urgente e necessario del nostro tempo: un progetto che richiede l'audacia di pensare e praticare un mondo oltre il capitalismo, fondato sulla giustizia, l'uguaglianza (nelle differenze) e la rigenerazione dei "sistemi socioecologici".
"Life vs Capital"; di FFF Italia:
www.globalproject.info/it/in_movimento/la-vita-si-ribella-al-capitalismo-dellestinzione/22275
"Un Pianeta in vendita, la risposta dei movimenti"; di Giovanna Ricoveri:
https://fdocumenti.com/document/un-pianeta-in-vendita-la-risposta-dei-movimenti-giovanna-assorbire-il-nostro.html
"Acqua oro blu del pianeta tra scarsità, 'water grabbing' e insufficiente consapevolezza del problema"; di F. Krasna:
www.openstarts.units.it/handle/10077/30600
"Sul ruolo della giustizia ambientale oggi: una conversazione con Julie Sze"; intervista di S.P. De Rosa:
www.studistorici.com/2020/12/29/sze_numero_44
"Giustizia, uguaglianza e differenza"; di B. Casalini e L. Cini:
https://www.academia.edu/4680734
"Cambiamento climatico e green criminology"; di L. Natali e R. Cornelli:
https://doi.org/10.7347/RIC-022019-p156
"The Lancet Planetary Health"; di J. Hickel:
https://doi.org/10.1016/S2542-5196(20)30196-0
"Economia criminale, riappropriazione delle terre e ‘altreconomia’ nel Mezzogiorno"; di T. Perna:
https://oajournals.fupress.net/index.php/sdt/article/view/8596
"Ribelli, naturalmente"; di Marco Armiero.
Introduzione al volume di Giorgio Nebbia "La contestazione ecologica":
https://www.academia.edu/19636250
"Convergenza anticapitalista, transfemminista e anti-estrattivista per la giustizia climatica e ambientale in Italia"; di Ilenia Iengo, Paola Imperatore ed Emanuele Leonardi:
https://undisciplinedenvironments.org/2022/10/18/political-ecology-and-the-insurgence/
"Transizione energetica dal basso: dal colonialismo climatico alla sovranità energetica"; di Undisciplined Environments:
https://undisciplinedenvironments.org/2022/10/25/energy-transition-from-below-from-climate-colonialism-to-energy-sovereignty/
"Dall’ambientalismo operaio alla giustizia climatica. La sfida della convergenza, oggi"; postfazione di Lorenzo Feltrin ed Emanuele Leonardi al volume "Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze. Dall’ex GKN alla Fabbrica socialmente integrata"; AA. VV:
https://fondazionefeltrinelli.it/schede/ebook-piano-ex-gkn/
"Per un conflitto climatico e di classe. Strike the green transition!" di Climate Class Conflict-Italy (CCC-IT):
https://www.connessioniprecarie.org/wp-content/uploads/2023/01/CCC-1-ITA.pdf
"Lessico e Nuvole: le parole del cambiamento climatico"; a cura di Gianni Latini, Marco Bagliani e Tommaso Orusa:
https://zenodo.org/record/4276945#.ZFqOUHbONPw
"Impatti globali dei progetti di sviluppo estrattivo e industriale sui modi di vita, le terre e i diritti delle popolazioni indigene"; di Arnim Scheidel, Álvaro Fernández-llamazares, Kyle Powys Whyte:
https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.ade9557
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