Le lotte di liberazione nelle colonie portoghesi
Le guerre di liberazione nelle colonie portoghesi d'Africa (Angola, Mozambico e Guinea-Bissau) rappresentano il capitolo finale, più lungo e sanguinoso del processo di decolonizzazione del continente africano.
Combattute tra il 1961 e il 1974, queste lotte non furono semplici rivolte anti-coloniali, ma conflitti ideologicamente complessi, sostenuti da leader carismatici e intellettuali di caratura mondiale, e inseriti pienamente nelle dinamiche della Guerra Fredda.
La loro unicità risiede nel fatto che non solo portarono all'indipendenza delle nazioni africane, ma innescarono direttamente il crollo del regime dittatoriale nella metropoli, la cosiddetta "Rivoluzione dei Garofani".
Questo saggio analizza il contesto peculiare del colonialismo portoghese, esamina le strategie e le ideologie dei principali movimenti di liberazione e valuta l'eredità complessa di questi conflitti, che hanno plasmato in modo indelebile il destino sia dell'Africa australe sia del Portogallo stesso.
Il contesto: l'anacronismo dell'impero portoghese
A differenza di Gran Bretagna e Francia, che a partire dagli anni '50 avviarono un graduale processo di decolonizzazione, il Portogallo sotto la dittatura dell'Estado Novo di António de Oliveira Salazar si rifiutò categoricamente di abbandonare i suoi territori d'oltremare.
Questa ostinazione non era meramente economica, ma profondamente radicata nell'ideologia del regime.
Per giustificare il suo dominio, Lisbona adottò e promosse la teoria del "lusotropicalismo", elaborata dal sociologo brasiliano Gilberto Freyre.
Questa dottrina sosteneva che il colonialismo portoghese fosse intrinsecamente benevolo, non razzista e capace di creare una civiltà meticcia e armoniosa ai tropici.
Le colonie furono ridefinite come "province d'oltremare", parti integranti di una nazione multirazziale e pluricontinentale.
Questa facciata propagandistica celava una realtà di brutale sfruttamento.
La realtà della segregazione e dello sfruttamento
La società coloniale era rigidamente stratificata.
Una minuscola élite di africani, gli assimilados, poteva ottenere la cittadinanza portoghese rinunciando alla propria cultura e dimostrando di saper leggere, scrivere e vivere "come un portoghese".
La stragrande maggioranza della popolazione era classificata come indígenas (nativi), privi di diritti politici e civili e soggetti al lavoro forzato, noto in Angola e Mozambico come chibalo.
L'economia era puramente estrattiva, basata sullo sfruttamento di cotone, caffè, diamanti e, più tardi, petrolio, a esclusivo vantaggio della metropoli e di una crescente popolazione di coloni bianchi.
L'intransigenza di Salazar, che vedeva nell'impero la chiave della grandezza e dell'identità nazionale portoghese, rese impossibile ogni via pacifica all'autodeterminazione, spingendo una nuova generazione di nazionalisti africani verso la lotta armata come unica opzione praticabile.
Le lotte si svilupparono in modo diverso in ciascuna colonia, con movimenti distinti per base sociale, ideologia e sostegno internazionale.
Angola: la lotta frammentata
Il caso angolano fu il più complesso, caratterizzato dalla presenza di tre movimenti rivali che combattevano non solo i portoghesi, ma spesso anche tra loro, prefigurando la tragica guerra civile post-indipendenza.
MPLA (Movimento Popular de Libertação de Angola): fondato nel 1956, l'MPLA aveva la sua base principale tra gli intellettuali urbani, i mestiços e gli assimilados della capitale Luanda e delle aree circostanti.
Guidato dal poeta e medico Agostinho Neto, adottò un'ideologia marxista-leninista, promuovendo un nazionalismo non razziale e non tribale.
Ricevette un massiccio sostegno dall'Unione Sovietica e da Cuba.
FNLA (Frente Nacional de Libertação de Angola): guidato da Holden Roberto, l'FNLA aveva una forte base etnica tra il popolo Bakongo nel nord dell'Angola e operava dal vicino Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo).
Ideologicamente era conservatore e anti-comunista, e ricevetre l'appoggio degli Stati Uniti e dello Zaire di Mobutu Sese Seko.
UNITA (União Nacional para a Independência Total de Angola): fondata nel 1966 da Jonas Savimbi, un dissidente dell'FNLA, l'UNITA basava il suo potere sul gruppo etnico degli Ovimbundu, il più numeroso del paese, negli altopiani centrali.
Inizialmente di ispirazione maoista, Savimbi si riposizionò abilmente come un baluardo anti-comunista per ottenere il sostegno del Sudafrica dell'apartheid e, successivamente, degli Stati Uniti.
Questa tripartizione, basata su divisioni ideologiche, etniche e regionali, rese l'Angola un epicentro della Guerra Fredda in Africa.
Guinea-Bissau e Capo Verde: la guerra politico-militare di Amilcar Cabral
La lotta in Guinea-Bissau fu, per contro, la più efficace e ideologicamente sofisticata, grazie alla leadership di Amílcar Cabral, una delle figure più importanti del pensiero rivoluzionario del XX secolo.
Fondato nel 1956 da Amilcar Cabral, il PAIGC (Partido Africano para a Independência da Guiné e Cabo Verde) unificò la lotta per l'indipendenza della Guinea continentale e delle isole di Capo Verde.
Cabral, agronomo di formazione, era un brillante stratega e teorico.
La sua filosofia si basava su alcuni pilastri fondamentali.
"La lotta è primariamente politica": l'azione militare era subordinata all'obiettivo politico di costruire una nuova società. Cabral insisteva sulla creazione di scuole, ospedali e tribunali popolari nelle "zone liberate" per dimostrare che il PAIGC poteva governare meglio dei colonialisti.
"Non rivendicare vittorie facili": Cabral ammoniva contro il trionfalismo, promuovendo un'analisi onesta dei propri punti deboli e dei propri errori.
"La liberazione nazionale come atto di cultura": Cabral sosteneva che il colonialismo negasse la storia e la cultura del popolo dominato; pertanto, la lotta armata doveva essere anche un processo di riappropriazione culturale e storica.
"Analisi di classe": a differenza di altri movimenti, Cabral sviluppò un'analisi sfumata della società africana, mettendo in guardia sul ruolo potenzialmente neocoloniale della "piccola borghesia" africana dopo l'indipendenza.
Grazie a questa strategia, nel 1973 il PAIGC controllava circa due terzi del territorio della Guinea e dichiarò unilateralmente l'indipendenza, che fu riconosciuta da decine di paesi ancor prima della fine della guerra.
Il tragico assassinio di Cabral nel gennaio 1973 a Conakry, orchestrato da agenti portoghesi con il supporto di dissidenti interni, non fermò l'inevitabile vittoria del suo movimento.
Mozambico: un fronte unito verso il socialismo
In Mozambico, la lotta fu condotta da un unico fronte unito, il FRELIMO, che tuttavia visse un'importante evoluzione ideologica interna.
Il FRELIMO (Frente de Libertação de Moçambique): Fondato nel 1962 in Tanzania, unì diversi gruppi nazionalisti preesistenti.
Il suo primo presidente, il sociologo Eduardo Mondlane, era un intellettuale moderato con forti legami con gli Stati Uniti.
Sotto la sua guida, il FRELIMO avviò la lotta armata nel 1964.
L'assassinio di Mondlane nel 1969, tramite un pacco bomba, portò al potere l'ala più radicale e marxista del movimento, guidata dal carismatico comandante militare Samora Machel.
Sotto Machel, il FRELIMO intensificò la guerra di guerriglia, espandendosi dal nord verso il sud del paese e radicalizzando il suo progetto di trasformazione socialista della società, con un forte accento sulla collettivizzazione e sull'abolizione delle strutture di potere tradizionali.
La caduta dell'impero e la Rivoluzione dei Garofani
L'aspetto più straordinario di queste guerre fu il loro impatto sulla metropoli.
I tredici anni di conflitto su tre fronti prosciugarono le finanze del Portogallo (arrivando ad assorbire quasi il 50% del bilancio statale), causarono decine di migliaia di vittime e generarono un profondo malcontento nella società civile e, soprattutto, nelle forze armate.
I giovani ufficiali dell'esercito portoghese, costretti a combattere una guerra interminabile e impossibile da vincere, furono profondamente influenzati dalle idee dei movimenti che combattevano.
Molti leggevano gli scritti di Cabral e Machel e si resero conto che la vera prigione non era solo nelle colonie, ma anche a Lisbona.
Questo processo di radicalizzazione portò alla formazione del Movimento das Forças Armadas (MFA).
Il 25 aprile 1974, l'MFA mise in atto un colpo di stato quasi incruento a Lisbona, rovesciando il regime dell'Estado Novo (guidato all'epoca da Marcello Caetano, successore di Salazar).
L'evento, noto come la Rivoluzione dei Garofani, fu accolto con giubilo dalla popolazione.
L'obiettivo primario dei capitani dell'MFA era porre fine alle guerre coloniali.
Di conseguenza, il nuovo governo democratico portoghese avviò un rapido e talvolta caotico processo di decolonizzazione.
Tra il 1974 e il 1975, Guinea-Bissau, Mozambico, Capo Verde, São Tomé e Príncipe e Angola ottennero l'indipendenza.
Un'eredità complessa: dalla Liberazione alla guerra civile
L'indipendenza, tuttavia, non portò la pace. L'eredità del colonialismo, la brutalità della guerra di liberazione e l'interferenza delle potenze della Guerra Fredda crearono le condizioni per nuovi, devastanti conflitti.
In Angola, il ritiro portoghese lasciò un vuoto di potere che fu immediatamente colmato da una guerra civile tra MPLA, FNLA e UNITA.
Il conflitto divenne un campo di battaglia internazionale, con l'MPLA sostenuto da migliaia di soldati cubani e dall'URSS, e l'UNITA supportata dal Sudafrica e dagli USA.
La guerra durò fino al 2002, lasciando il paese in rovina.
In Mozambico, il governo socialista del FRELIMO dovette affrontare una feroce guerriglia da parte della RENAMO, un movimento ribelle creato e finanziato prima dalla Rhodesia razzista e poi dal Sudafrica dell'apartheid per destabilizzare il paese.
Anche questa guerra civile durò oltre quindici anni, con conseguenze umanitarie catastrofiche.
Guinea-Bissau e Capo Verde si separarono pacificamente, ma la Guinea-Bissau ha sofferto per decenni di cronica instabilità politica e colpi di stato.
Conclusione
Le lotte di liberazione nelle colonie portoghesi furono molto più di una semplice appendice della decolonizzazione africana.
Furono guerre moderne, combattute da movimenti con sofisticate strutture politiche e ideologiche, capaci di guadagnarsi legittimità internazionale e di sconfiggere un esercito europeo sul campo.
Figure come Amílcar Cabral hanno lasciato un'eredità intellettuale che trascende i confini dell'Africa, offrendo lezioni universali sulla natura della lotta politica e culturale.
L'impatto più singolare di questi conflitti resta la loro relazione dialettica con la metropoli: la lotta per la libertà in Africa fu la causa diretta della conquista della democrazia in Portogallo.
L'eredità amara delle guerre civili che seguirono non oscura la portata storica di queste lotte, che non solo posero fine a 500 anni di impero portoghese, ma chiusero definitivamente l'era del colonialismo in Africa, lasciando una testimonianza potente e dolorosa del prezzo della libertà.
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