di socialclimatejustice.blogspot.com
La trasformazione oltre la metafora.
L'attuale convergenza di crisi ecologica, disuguaglianza sociale e instabilità politica ha messo in discussione le fondamenta stesse del modello di sviluppo dominante, basato su una crescita economica perpetua.
Tra le alternative radicali, la "decrescita", si pone come una delle proposte più articolate e desiderabili, per l'elaborazione di immaginari legati ad una società post-crescita e alle strategie politiche per realizzare tale transizione.
La fine di un'era: la critica al "Paradigma della Crescita".
Il punto di partenza per ogni discorso sulla decrescita è la critica radicale all'ideologia della crescita infinita.
Il pensiero economico dominante si è a lungo basato su un'astrazione che ignora le leggi fondamentali della fisica, in particolare il secondo principio della termodinamica.
L'applicazione del secondo principio della termodinamica (la legge dell'entropia) ai processi economici ha dimostrato che l'economia non è un sistema circolare e isolato, come immaginato dalla teoria neoclassica, ma un processo lineare e irreversibile che trasforma risorse naturali (di bassa entropia) in rifiuti (di alta entropia).
Questa constatazione fisica elementare demolisce alla radice il mito di una crescita economica infinita su un pianeta finito, scardinando l'intero edificio della "religione della crescita" e svelandone l'insostenibilità biofisica.
La "scommessa della Decrescita" consiste nel fatto che una società post-crescita non solo sia necessaria, ma anche desiderabile.
Un pensiero che si articola attorno a concetti chiave come la "decolonizzazione dell'immaginario" (la liberazione dalla dipendenza psicologica dal consumismo), la critica alla "religione della crescita" e la proposta di un "circolo virtuoso" basato sulle "otto R" (Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Redistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare): un appello a una rottura radicale con l'economicismo e a una riscoperta del senso del limite e della convivialità.
Si mostra oggi, in tutta la sua evidenza, il legame simbiotico tra il modello di crescita capitalista e le democrazie liberali storicamente sviluppate in un contesto di abbondanza energetica e materiale.
La fine di queste "democrazie fossili" pone sfide inedite, che non possono essere affrontate con mere soluzioni tecniche o di "sviluppo sostenibile", ma richiedono una profonda riconsiderazione dei valori e dei principi fondanti delle società industriali.
Per questo oggi è fondamentale comprendere le implicazioni politiche della crisi ecologica.
La fine della crescita non è solo una questione economica, ma una sfida radicale alle fondamenta stesse delle istituzioni democratiche che impone una profonda riconsiderazione dei valori, dei diritti e delle forme di partecipazione politica: la crisi ecologica è una crisi della modernità e delle sue promesse.
Oltre il Greenwashing: Decrescita, giustizia e critica al "Capitalismo Verde".
Di fronte all'evidenza della crisi, in Europa le risposte dominanti si sono finora concentrate su strategie di "capitalismo verde" o "crescita verde".
Tuttavia, questa "Necropolitica del Green Deal europeo" finirebbe col perpetuare, sotto una nuova veste, le medesime logiche di sfruttamento e colonizzazione che hanno generato la crisi ecologica.
La transizione energetica "verde" infatti, se non accompagnata da una riduzione complessiva dei consumi e da una messa in discussione dei rapporti di potere, si tradurrebbe in una nuova ondata di "colonizzazione infrastrutturale" e di accaparramento di risorse a danno delle comunità del Sud del mondo.
È dunque necessario contrapporre una critica radicale e decoloniale alle strategie di "capitalismo verde", incarnate da politiche come il Green Deal europeo.
È quanto mai opportuno utilizzare il concetto di "necropolitica" (la politica che decide chi può vivere e chi deve morire) coniato dal filosofo camerunese Achille Mbembe, per svelare come la transizione energetica "verde", se basata sulla logica del profitto, finirà col perpetuare e intensificare dinamiche di sfruttamento e colonialismo.
La corsa ai minerali "critici" per le tecnologie verdi, l'accaparramento di terre per le infrastrutture rinnovabili e la delocalizzazione degli impatti ambientali, continuerebbe a sacrificare le vite e i territori delle comunità del Sud globale: un monito fondamentale contro un'ecologia superficiale che non metta in discussione i rapporti di potere globali.
La decrescita, che non implica una contrazione economica caotica e socialmente iniqua, rappresenta piuttosto una riduzione pianificata, democratica e selettiva della produzione e dei consumi, finalizzata a raggiungere un equilibrio ecologico e a promuovere la giustizia sociale.
Questa distinzione è politicamente cruciale per contrastare la narrazione dominante che equipara la decrescita alla povertà e all'austerità.
La decrescita è un progetto di giustizia sociale e ambientale, che mira a ridurre l'impronta ecologica dei ceti più abbienti nei paesi ricchi per liberare risorse per i paesi poveri, le classi lavoratrici e le generazioni future.
L'espressione "dirottare l'economia" mira, in questo senso, a riorientare il sistema economico verso finalità umane ed ecologiche, anziché verso l'accumulazione di capitale.
Questa espressione suggerisce un'azione intenzionale e strategica per sottrarre l'economia al suo attuale pilota automatico (la ricerca del profitto e della crescita a tutti i costi), per indirizzarla verso destinazioni socialmente ed ecologicamente desiderabili.
È necessario concentrarsi sulle strategie politiche e sui movimenti sociali che possono attuare questo "dirottamento".
Si tratta di riappropriarsi dell'economia per metterla al servizio del benessere umano e della salute del pianeta, evidenziando il ruolo cruciale del conflitto sociale e dell'azione collettiva in questo processo.
Diversi studi scientifici forniscono una solida base empirica all'argomentazione della Decrescita, spostandola dal campo della filosofia politica a quello della modellistica climatica.
Gli scenari di decrescita a 1,5 °C suggeriscono la necessità di nuovi percorsi di mitigazione.
Il rispetto degli obiettivi climatici dell'Accordo di Parigi è incompatibile con la prosecuzione della crescita economica, anche nelle sue versioni più ottimisticamente "verdi".
Gli scenari di Decrescita, al contrario, offrono percorsi di mitigazione più realistici e meno dipendenti da tecnologie speculative e rischiose.
Questi scenari, che incorporano una riduzione pianificata della produzione e dei consumi (decrescita) rendono gli obiettivi climatici più raggiungibili.
Questi studi sono cruciali per dimostrare la necessità strategica della Decrescita per la mitigazione del cambiamento climatico.
Comunità di Cura, Limiti Sociali e Trasformazione Radicale.
Se la critica al presente è netta, quali sono le visioni concrete per una società post-crescita?
Una prospettiva potente e generativa si ispira alle pratiche ecofemministe e alle esperienze di autorganizzazione comunitaria.
Un modello di società basato sulla cura, il mutuo soccorso, la condivisione delle risorse e una democrazia di prossimità costituisce una pratica politica prefigurativa, che costruisce già oggi le fondamenta di un'alternativa desiderabile.
Questa visione si sposa con la necessità di passare dal concetto tecnocratico di "limiti planetari" a quello politico di "limiti sociali".
Non si tratta infatti di "subire passivamente" dei limiti esterni, ma di definire collettivamente e democraticamente dei processi che garantiscano una "vita buona per tutti" nel rispetto della biosfera.
Il concetto di "limiti planetari" per la sua natura apparentemente apolitica rischia di essere percepito come "imposto dall'alto".
Il concetto di "limiti sociali", risultato di un processo democratico di "autolimitazione collettiva" non sarebbe vissuto come una costrizione esterna, ma come la scelta consapevole di una società che decide da sé di darsi delle regole.
Questo approccio sposta l'accento dalla scarsità alla sufficienza, dalla paura del collasso alla costruzione di un'autonomia collettiva.
È un argomento a favore di una "democrazia ecologica radicale", in cui le decisioni fondamentali sul "quanto" e "come" produrre e consumare sono prese dalla collettività.
Tuttavia la trasformazione, così come la decolonizzazione, non è una metafora; non basta elaborare visioni alternative: è necessaria una strategia politica conflittuale per smantellare il "capitalismo fossile".
La trasformazione richiede azioni concrete, come la riappropriazione delle terre, il disinvestimento dalle industrie fossili e la costruzione di alleanze politiche in grado di imporre un cambiamento radicale che trasformi i rapporti di potere e di proprietà.
Costruire il futuro nel presente.
Le idee della Decrescita non nascono dal nulla, ma hanno radici profonde; già decenni fa, l'insostenibilità del modello di sviluppo industriale e la necessità di un cambiamento radicale di paradigma aveva anticipato molte delle critiche che oggi sono al centro del dibattito: una traiettoria intellettuale e politica di straordinaria coerenza e urgenza.
Valorizzare un "pensiero ecologico profondo" significa riconoscere la lunga storia di una critica che va oltre l'ambientalismo di facciata per mettere in discussione le fondamenta stesse della modernità capitalista.
Solo partendo dalla critica fondamentale all'economia della crescita si può formulare una critica stringente alle false soluzioni del "capitalismo verde".
La Decrescita emerge dunque non come una rinuncia o un sacrificio, ma come un progetto politico per una società più giusta, più equa e più in armonia con i sistemi naturali che la sostengono.
Le proposte di "comunità di cura" e di "limiti sociali auto-imposti" offrono spunti concreti per immaginare e praticare alternative possibili.
Tale transizione non sarà indolore né priva di conflitti, ma la sfida è aperta: si tratta di "dirottare l'economia" e di scommettere su un futuro diverso e desiderabile.
La trasformazione, per non rimanere una mera metafora, deve diventare prassi collettiva, lotta politica e costruzione quotidiana di un mondo nuovo.
"La trasformazione non è una metafora", di Jevgeniy Bluwstein:
https://doi.org/10.1016/j.polgeo.2021.102450
"La fine della crescita e le sfide ecologiche alla democrazia"; di Marco Deriu:
https://www.academia.edu/40262565
"Gli scenari di decrescita a 1,5 °C suggeriscono la necessità di nuovi percorsi di mitigazione"; di L. T. Keyßer & M. Lenzen:
https://www.nature.com/articles/s41467-021-22884-9
"La fine della crescita e le sfide ecologiche alla democrazia"; di Marco Deriu:
https://dialnet.unirioja.es/servlet/articulo?codigo=7010674
"Comunità di Cura"; di Stefania Barca:
https://link.springer.com/chapter/10.1007/978-3-031-20928-4_8#Sec3
"From planetary to societal boundaries: an argument for collectively defined self-limitation"; di Ulrich Brand e altri:
https://doi.org/10.1080/15487733.2021.1940754
"La nostra decrescita non è la loro recessione!"; di Riccardo Mastini:
http://effimera.org/la-nostra-decrescita-non-la-recessione-riccardo-mastini/
"Necropolitica del Green Deal europeo: esplorare la transizione energetica 'verde', la decrescita e la colonizzazione infrastrutturale";
di A. Dunlap e L. Laratte:
https://doi.org/10.1016/j.polgeo.2022.102640
"Carla Ravaioli: un pensiero ecologico profondo"; di M. Ruzzenenti:
https://www.decrescita.it/decrescita/wp-content/uploads/Carla-Ravaioli-un-pensiero-ecologico-profondo.pdf
"Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994)"; di Giorgio Nebbia:
https://www.fondazionemicheletti.eu/contents/documentazione/archivio/Altronovecento/Arc.Altronovecento.04.16.pdf
"Serge Latouche, La scommessa della decrescita":
https://www.psicopolis.com/sociologia/boxpdf/SLscommessadecrescita.pdf
"Dirottare l'economia"; di Federico Demaria:
http://valderasolidale.it/dirottare-leconomia
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