La "caccia alle streghe" analizzata da Silvia Federici, la "morte della natura" teorizzata da Carolyn Merchant e la critica di Vandana Shiva alle monocolture e all'agribusiness rappresentano manifestazioni distinte ma intrinsecamente legate di un'unica matrice di dominazione.
La sottomissione del corpo femminile e la mercificazione della natura sono infatti stati processi storici paralleli e complementari, funzionali all'instaurazione e al mantenimento del capitalismo patriarcale.
La resistenza a tali dinamiche richiede una profonda trasformazione sistemica che rimetta al centro la cura, la reciprocità e la biodiversità.
La Caccia alle Streghe come "meccanismo di disciplinamento sociale e controllo sul corpo femminile"
Silvia Federici, in "Caccia alle streghe, guerra alle donne", offre una rilettura radicale della caccia alle streghe europea, considerandola non come una mera superstizione o un'aberrazione storica, ma come un pilastro fondamentale nell'emergere del capitalismo.
Federici argomenta che a partire dal tardo Quattrocento la persecuzione delle donne, in particolare delle contadine e delle guaritrici, fu un processo deliberato e sistematico volto a distruggere il potere femminile, a privatizzare la riproduzione e a imporre un nuovo regime di accumulazione primitiva.
La tortura e l'uccisione delle streghe servirono a terrorizzare la popolazione femminile, a disciplinarne i corpi e le sessualità, a spezzare la solidarietà comunitaria e a sradicare saperi ancestrali legati alla riproduzione, alla guarigione e alla conoscenza delle erbe.
Questo processo fu cruciale per trasformare il corpo femminile in una "macchina riproduttiva" al servizio del capitale, garantendo una forza lavoro abbondante e a basso costo e un controllo patriarcale sulla procreazione.
La "guerra alle donne" descritta da Federici non fu quindi un evento isolato, ma un elemento intrinseco alla transizione dal feudalesimo al capitalismo, funzionale alla creazione di una nuova divisione del lavoro e alla sottomissione di quelle pratiche e conoscenze che minacciavano l'ordine emergente.
La Morte della Natura e la nascita di una visione meccanicistica del mondo
Carolyn Merchant, in "La morte della natura", traccia la genesi, contemporanea alla repressione del potere femminile descritta da Federici, di una visione meccanicistica e strumentale della natura che ha dominato il pensiero occidentale a partire dalla Rivoluzione Scientifica.
Merchant dimostra come, nel Medioevo e nel Rinascimento, la natura fosse spesso concepita come un organismo vivente e una nutrice: la "Madre Terra", dotata di una propria agency e integrità.
Tuttavia, con l'avvento della scienza moderna e l'ascesa del capitalismo, questa visione fu progressivamente sostituita da un'immagine della natura come macchina inerte e passiva, una risorsa da manipolare e sfruttare senza limiti per il profitto umano.
La metafora della "morte della natura" sottolinea la perdita di sacralità e di rispetto nei confronti del mondo naturale, ridotto a un mero oggetto da dominare e controllare.
Questo processo, come suggerisce Merchant, non fu neutrale rispetto al genere: la dominazione della natura fu spesso espressa attraverso un linguaggio sessista e misogino, che equiparava la terra a una donna da violentare e penetrare per estrarne le ricchezze.
La razionalità scientifica emergente, fortemente maschile e patriarcale, giustificò e accelerò lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, ponendo le basi per l'attuale crisi ecologica.
Monocolture e Colonialismo Ecologico: la continuità dello sfruttamento
Vandana Shiva, ne "Il pianeta di tutti", estende le analisi di Federici e Merchant, focalizzandosi sulle dinamiche contemporanee di sfruttamento attraverso il prisma delle monocolture industriali e del colonialismo ecologico.
Shiva denuncia come il modello agricolo dominante, basato su sementi brevettate, pesticidi chimici e fertilizzanti sintetici, non solo distrugge la biodiversità e impoverisce i suoli, ma annienta anche i saperi tradizionali delle comunità contadine, in particolare delle donne, che da secoli sono custodi di pratiche agricole rigenerative e diversificate.
Le monocolture, promosse dalle multinazionali dell'agribusiness, rappresentano una forma moderna di "recinzione" delle risorse, simile alle enclosures storiche che portarono all'espulsione dei contadini dalle loro terre.
Questo modello non solo espropria le comunità del loro diritto al cibo e alla sovranità alimentare, ma riproduce schemi di dominazione che richiamano la logica della caccia alle streghe: la criminalizzazione di pratiche agricole tradizionali, la coercizione verso l'adozione di sementi "migliorate" (spesso sterili o geneticamente modificate) e l'impoverimento di intere popolazioni.
Shiva sottolinea come la distruzione della biodiversità e l'imposizione di un modello agricolo uniforme siano intrinsecamente legate alla perdita di autonomia e di potere delle donne, che tradizionalmente hanno svolto un ruolo centrale nella selezione e conservazione delle sementi e nella gestione rigenerativa delle risorse.
La "guerra" contro la natura e contro le donne, sebbene assuma nuove forme, continua tuttora ad essere un elemento centrale del sistema capitalistico globale.
Un'unica matrice di dominazione: verso la resistenza intersezionale
Le opere di Federici, Merchant e Shiva, sebbene affrontino contesti storici e geografici diversi, convergono nell'identificare una matrice comune di dominazione che lega l'oppressione delle donne e lo sfruttamento della natura all'espansione del capitale.
La caccia alle streghe ha disciplinato il corpo femminile e la sua capacità riproduttiva, funzionalizzando la riproduzione al capitale; la "morte della natura" ha legittimato lo sfruttamento illimitato delle risorse; e le monocolture (anche della mente) odierne perpetuano questa logica, espropriando comunità e distruggendo la biodiversità.
In ciascun caso, la logica è la stessa: la riduzione di entità viventi (corpi femminili, ecosistemi, sementi) a mere risorse o merci da controllare e sfruttare.
La prospettiva ecofemminista che emerge da queste analisi offre un potente strumento per comprendere e resistere a queste dinamiche interconnesse.
Essa riconosce che la liberazione delle donne non può essere separata dalla liberazione della natura, e viceversa.
La resistenza, quindi, deve essere intersezionale, unendo la lotta contro il patriarcato a quelle contro il capitalismo.
Ciò implica la riappropriazione dei saperi tradizionali, la difesa della biodiversità, la promozione di modelli agricoli rigenerativi, la valorizzazione del lavoro di cura e riproduttivo, nonché la costruzione di economie basate sulla cooperazione e sulla rigenerazione piuttosto che sullo sfruttamento e sulla crescita illimitata.
Solo attraverso una profonda riarticolazione delle relazioni tra esseri umani e non umani sarà possibile superare l'eredità distruttiva della "guerra alle donne" e della "morte della natura", per costruire un futuro più equo per "il pianeta di tutti".
- Federici, Silvia "Caccia alle streghe, guerra alle donne" (2020);
- Merchant, Carolyn "La morte della natura" (1988);
- Shiva, Vandana "Il pianeta di tutti" (2019).
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