di socialclimatejustice.blogspot.com
Di fronte alla crescente crisi ecologica planetaria, il pensiero critico ha generato analisi e prospettive in grado di individuarne le radici sistemiche.
Tra queste prospettive spiccano due scuole di pensiero eco-marxiste: la teoria della "Frattura metabolica" e l'approccio dell'"Ecologia-mondo".
Sebbene entrambe affondino le radici nella critica marxiana dell'economia politica e identifichino nel capitalismo la causa ultima della devastazione ambientale, esse presentano divergenze significative nei quadri teorici e nelle metodologie.
La "Frattura Metabolica": Marx e l'alienazione dalla natura
La teoria della "Frattura metabolica", riscoperta e sviluppata dal sociologo americano John Bellamy Foster, si basa su un'attenta rilettura degli scritti di Karl Marx, in particolare del Capitale e dei suoi appunti di scienze naturali.
Il concetto centrale è quello di Stoffwechsel, termine tedesco che Marx utilizza per descrivere il "metabolismo" o l'interscambio materiale tra la società umana e la natura.
Secondo Marx, questo metabolismo è un'"eterna necessità naturale" della vita umana; il capitalismo, tuttavia, genera una "frattura irreparabile" (rift) in questo processo.
L'analisi di Marx, e di conseguenza quella di Foster, si concentra in modo emblematico sulla crisi dell'agricoltura capitalistica del XIX secolo.
Con la crescente divisione tra città e campagna, i nutrienti del suolo (come azoto, fosforo e potassio), assorbiti dalle colture e consumati sotto forma di cibo e fibre dalla popolazione urbana, non venivano più restituiti alla terra.
Al contrario, finivano per inquinare le città e i corsi d'acqua, impoverendo progressivamente la fertilità dei suoli rurali.
Questa interruzione del ciclo dei nutrienti è l'esempio archetipico della frattura metabolica: un sistema di produzione orientato all'accumulazione di valore che viola le leggi ecologiche della riproduzione.
La prospettiva della scuola della "Frattura metabolica" è quindi quella di una profonda alienazione materiale.
Il capitalismo non solo aliena i lavoratori dal prodotto del loro lavoro, ma aliena l'umanità intera dalla natura, trattando quest'ultima come una risorsa esterna da sfruttare illimitatamente.
L'analisi ecologica intrinseca al pensiero di Marx dimostra come questi non fosse affatto il pensatore "prometeico" e "produttivista" spesso descritto.
"Ecologia-Mondo": il Capitalismo come organizzatore della natura
L'approccio dell'"Ecologia-mondo", sviluppato principalmente dallo storico e sociologo Jason W. Moore, si pone in dialogo critico con la tradizione della "Frattura metabolica", cercando di superarne quello che percepisce come un limite fondamentale: il dualismo tra Società e Natura.
Moore sostiene che il capitalismo non crei una "frattura" tra la società e una "natura esterna", piuttosto, che il capitalismo stesso sia una "Ecologia-mondo": un modo specifico di organizzare le relazioni tra gli esseri umani e il resto della natura.
La separazione concettuale tra "Società" (l'ambito dell'economia e della storia) e "Natura" (l'ambito delle risorse biofisiche) non è una realtà materiale, ma un'astrazione storica prodotta dal capitalismo stesso.
Questo dualismo cartesiano, secondo Moore, è stato fondamentale per legittimare la sottomissione e l'appropriazione della natura.
L'"Ecologia-mondo" introduce concetti chiave come Oikeios: termine che indica la rete dialettica e co-produttiva di esseri umani e natura, (rifiutando l'idea di due sfere separate); e Natura a buon mercato (Cheap Nature), per affermare come il capitalismo, per prosperare, abbia storicamente richiesto l'appropriazione di "quattro elementi a buon mercato" (lavoro, cibo, energia e materie prime).
La strategia del capitalismo consiste nel portare costantemente nuove "frontiere" di natura non capitalizzata all'interno del circuito del valore, sfruttandole al massimo e a basso costo (per poi passare a nuove frontiere una volta esaurite).
Invece del termine "Antropocene", che attribuisce la crisi ecologica all'intera specie umana, Moore propone "Capitalocene" per sottolineare quanto sia il capitalismo come sistema storico, emerso intorno al 1450, il vero motore della trasformazione planetaria.
La prospettiva è quindi quella di una dialettica storica unitaria.
La crisi ecologica non è il risultato del superamento di limiti esterni, ma una crisi interna al modo in cui il capitalismo produce e riproduce la vita nella sua interezza.
Una comune radice critica
Nonostante le differenze, le due scuole di pensiero condividono un terreno comune che le distingue nettamente dalle correnti ambientaliste liberali.
Entrambe fondano la loro analisi sulla critica dell'economia politica di Marx e sul materialismo storico.
Entrambe concordano sul fatto che la crisi ecologica non sia un effetto collaterale o "un'esternalità" correggibile con soluzioni tecniche o di mercato, ma una tendenza intrinseca e ineliminabile del modo di produzione capitalistico, guidato dall'imperativo dell'accumulazione infinita.
Entrambe rifiutano le spiegazioni della crisi basate sulla sovrappopolazione o sulla tecnologia in astratto, riconducendo invece il problema alle relazioni sociali di produzione.
Il Dualismo al centro del dibattito
La principale divergenza tra le due scuole è di natura ontologica e metodologica e riguarda il rapporto tra Società e Natura.
La scuola della "Frattura metabolica" mantiene una distinzione analitica del rapporto tra Società e Natura.
La "frattura" è una rottura reale tra due entità che il capitalismo separa.
La scuola dell'"Ecologia-Mondo", al contrario, rifiuta il dualismo: Società e Natura sono co-prodotte; il capitalismo è un modo di organizzare la natura, non di separarsene.
Mentre Foster tende a vedere la natura come un'entità biofisica con leggi proprie che il capitalismo viola, Moore vede il concetto stesso di "Natura" (come sfera esterna all'uomo) come un'invenzione storica del capitalismo per "renderla a buon mercato".
La metafora centrale utilizzata dagli autori della scuola della "Frattura metabolica" è un'immagine di separazione, alienazione, rottura di un ciclo.
Quella degli autori dell'"Ecologia-mondo" è un Mosaico/Rete (Web of Life): un'immagine di interconnessione, organizzazione e co-produzione dialettica.
Per i primi, la rivoluzione industriale e la crisi del suolo nel XIX secolo rappresentano il momento chiave dell'intensificazione della frattura: la crisi emerge dalla violazione di limiti biofisici esterni da parte della logica del capitale.
I secondi, invece, risalgono alle origini del capitalismo nel "lungo XVI secolo" (1450-1640), con la conquista globale e la creazione di frontiere di "natura a buon mercato", per affermare che la crisi è endogena all'ecologia-mondo capitalista: essa deriva dall'esaurimento delle opportunità di trovare nuova "natura a buon mercato".
"Frattura materiale" contro "Strategia di potere"
La differenza non è puramente filosofica, ma ha profonde implicazioni su come si analizza la storia del capitalismo e su quali strategie politiche si immaginano per superarlo.
Secondo John Bellamy Foster, la separazione tra società e natura non è un'idea o un'illusione, ma una frattura materiale e tangibile, un risultato concreto del modo di produzione capitalistico.
Partendo da Marx, Foster sostiene che il capitalismo, attraverso la proprietà privata della terra e la divisione del lavoro (in particolare tra città e campagna), strappi letteralmente gli esseri umani dai loro substrati naturali: una rottura fisica, non solo concettuale.
La prospettiva della "Frattura metabolica" presuppone che esistano sistemi e cicli naturali (il ciclo del carbonio, il ciclo dell'azoto, ecc.) con una loro logica e temporalità.
Il capitalismo, con la sua logica lineare di accumulazione infinita, entra in conflitto diretto con la natura ciclica dei sistemi ecologici; la crisi emerge proprio da questa incompatibilità.
La soluzione, in questa ottica, è di "ricomporre la frattura metabolica": una società post-capitalista (eco-socialista) dovrebbe riorganizzare la produzione in modo razionale per operare in armonia con queste leggi naturali, chiudendo i cicli e superando l'alienazione; per farlo però, è necessario prima riconoscere che una separazione dannosa sia stata prodotta.
In sintesi, per Foster il dualismo è un danno reale che il capitalismo infligge al mondo: è il problema da risolvere.
Per Moore e l'"Ecologia-Mondo", il Dualismo è invece una "Strategia Capitalistica".
Il problema non è tanto che il capitalismo crei una frattura reale, quanto il fatto che esso inventi e imponga il dualismo Natura/Società come principio organizzativo e strategia di potere.
Moore sostiene che l'idea di una "Natura esterna", selvaggia e separata dalla "Società" (civile, economica, maschile, europea) sia un'invenzione del pensiero moderno, emersa intorno al XVI secolo.
Questa invenzione non è innocente: serve a definire cosa (e chi) può essere sfruttato a basso costo.
Tutto ciò che viene etichettato come "Natura" – foreste, suoli, ma anche il lavoro non salariato delle donne, dei popoli indigeni e degli schiavi – viene escluso dal calcolo del valore e può essere appropriato quasi gratuitamente.
Per Moore non esiste una Società che agisce "sulla" Natura; esiste invece un'unica rete della vita (Oikeios) che il capitalismo organizza in un modo specifico e violento.
Il capitalismo non "viola" le leggi della natura, ma mobilita e trasforma la natura (umana ed extra-umana) per i propri fini.
Le piantagioni di canna da zucchero non erano un'imposizione sulla natura, ma un nuovo e terribile modo di organizzare insieme suolo, piante, clima e lavoro umano forzato.
La lotta ecologica non può dunque limitarsi a "rispettare i limiti naturali": deve essere una lotta contro l'intero apparato ideologico e materiale che crea zone sacrificabili di "natura a buon mercato".
Questo significa che le lotte femministe, anti-razziste e anti-coloniali non sono separate dalla lotta ecologica, ma ne sono parte integrante, perché combattono la stessa logica di svalutazione e appropriazione.
In sintesi, per Moore il dualismo è uno strumento ideologico fondamentale del capitalismo: è la giustificazione del problema.
Le differenze tra le due scuole di pensiero spiegano perché, pur partendo da Marx, gli autori giungano a narrazioni storiche e a conclusioni strategiche così diverse riguardo alla crisi del nostro tempo.
Un futuro ecosocialista
Le prospettive della "Frattura metabolica" e dell'"Ecologia-mondo" rappresentano due dei più sofisticati tentativi di sviluppare una critica ecologica a partire dal marxismo.
Autori come Foster offrono una potente critica all'alienazione capitalistica dalla natura, ancorata a un'analisi rigorosa e filologica del pensiero di Marx.
Altri, come Moore, spingono invece la critica verso un superamento radicale dei dualismi ereditati dal pensiero moderno, offrendo un quadro ambizioso che sintetizza marxismo, teoria dei sistemi-mondo e storia ambientale.
Il dibattito tra queste due prospettive, lungi dall'essere puramente accademico, è vitale per comprendere la complessità della crisi e per immaginare un futuro eco-socialista in cui la frattura possa essere ricomposta all'interno di un modo nuovo e rigenerativo di organizzare le relazioni socioecologiche.
John Bellamy Foster: "Marx's Ecology: Materialism and Nature";
Paul Burkett: "Marx and Nature: A Red and Green Perspective";
John Bellamy Foster, Brett Clark e Richard York: "The Ecological Rift: Capitalism's War on the Earth".
Jason W. Moore: "Capitalism in the Web of Life: Ecology and the Accumulation of Capital";
Jason W. Moore e Raj Patel: "A History of the World in Seven Cheap Things".
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