di socialclimatejustice.blogspot.com
Un'analisi incisiva e dettagliata della trasformazione dei beni comuni e delle strutture di proprietà comunitaria, traccia una parabola discendente che ha inizio ben prima dell'Unità d'Italia ma che subisce una drastica accelerazione con la creazione dello Stato unitario e l'affermazione del nuovo ordine giuridico ed economico capitalistico: è la crisi di un sistema secolare di gestione collettiva delle risorse, e dell'impatto che la sua disgregazione ha avuto (e tuttora ha) sull'equilibrio ecologico e sociale della penisola.
I Beni Comuni nell'Italia Preunitaria
Prima dell'unificazione, il paesaggio italiano era caratterizzato da una complessa e variegata trama di diritti e proprietà collettive, noti come "beni comuni" o "usi civici".
Questi non rappresentavano un mero residuo feudale, ma un sistema vitale e funzionale di gestione delle risorse primarie – boschi, pascoli, acque, terre arabili – che garantiva la sussistenza di intere comunità.
Lungi dall'essere "terra di nessuno", i beni comuni erano regolati da strutture, statuti locali e consuetudini, in alcuni casi antichissime, che ne disciplinavano l'utilizzo in modo oculato e sostenibile, guidati da una logica intrinsecamente ecologica.
Il diritto di legnatico (raccolta della legna), di pascolo o di fungatico non era illimitato, ma commisurato ai bisogni della famiglia e alla capacità di rigenerazione della risorsa.
Questo sistema presupponeva una concezione della proprietà non assolutistica e individualista, bensì comunitaria e intergenerazionale.
Le "regole" delle comunità alpine, le "università agrarie" dell'Italia centrale o i "demani" del Mezzogiorno, pur con le loro specificità, condividevano un principio fondamentale: la risorsa naturale era un "patrimonio della collettività", da cui trarre sostentamento preservandola per il futuro e difendendola dal dissesto idrogeologico.
La cura dei boschi, la manutenzione dei canali e la regolamentazione del pascolo erano attività intrinseche alla vita della comunità, poiché dalla salute dell'ecosistema locale dipendeva la sopravvivenza stessa dei suoi membri.
L'assalto ai Beni Comuni
Il declino di questo sistema inizia a delinearsi con le riforme del Settecento e subisce un colpo decisivo durante il periodo napoleonico.
L'ideologia illuminista e la nascente economia di mercato vedevano nelle proprietà collettive un ostacolo al progresso e all'efficienza.
La fisiocrazia, con il suo mantra sulla centralità della produzione agricola, promuoveva la "proprietà privata individuale" come unica forma capace di garantire gli investimenti e le migliorie necessarie ad aumentare la produttività dei terreni.
Le leggi eversive della feudalità, in particolare nel Regno di Napoli, e le successive legislazioni napoleoniche mirarono a "liberare la terra dai vincoli collettivi".
L'intento dichiarato era quello di creare una nuova classe di piccoli e medi proprietari terrieri, più dinamici e produttivi; tuttavia gli esiti furono spesso drammaticamente diversi.
La divisione dei demani e la quotizzazione delle terre comuni favorirono in larga parte i ceti già abbienti – la borghesia rurale e l'aristocrazia terriera – che avevano le risorse economiche e l'influenza politica per accaparrarsi i lotti migliori.
Le popolazioni rurali, private dell'accesso a risorse fondamentali per la loro economia di sussistenza (legna per scaldarsi, pascolo per il bestiame, frutti selvatici per integrare la dieta), si trovarono improvvisamente proletarizzate e impoverite.
Stato Unitario e "consacrazione della Proprietà Privata"
Con l'Unità d'Italia, questo processo non solo non si arrestò, ma venne sistematizzato e legalmente sancito su scala nazionale.
Il nuovo Stato liberale, fondato sui principi del Codice Civile napoleonico, eresse la "proprietà privata" a diritto sacro e inviolabile, relegando le forme di possesso comunitario a un passato da superare; le politiche post-unitarie infersero poi il colpo di grazia ai beni comuni.
Le leggi forestali, la vendita dei beni ecclesiastici e la generale impostazione giuridica dello Stato remavano tutte nella stessa direzione: la "mercificazione della terra e delle risorse naturali".
L'idea che un bosco o un pascolo potesse avere un valore intrinseco per la stabilità del suolo o la coesione di una comunità era estranea alla logica del profitto e della rendita fondiaria; questa transizione verso la privatizzazione e il conseguente sfruttamento incontrollato delle terre comuni ebbero conseguenze ambientali devastanti.
Disboscamento selvaggio: le montagne, non più protette dalle antiche regole comunitarie, vennero spogliate del loro manto boschivo per produrre legname e carbone, innescando processi erosivi su vasta scala.
Dissesto idrogeologico: frane e alluvioni, che la storiografia dell'epoca tendeva a imputare alla "fatalità" della natura italiana, erano in realtà il risultato diretto di scellerate politiche territoriali che avevano minato antichi equilibri.
Perdita di biodiversità: la conversione di pascoli e boschi in monocolture agrarie ridusse drasticamente la varietà biologica e la resilienza degli ecosistemi.
Tragedia delle privatizzazioni
La questione dei beni comuni è dunque centrale nella storia ecologica del nostro Paese; non per la nostalgica rievocazione di un mondo perduto, ma per offrire una potente critica storica al modello di sviluppo imposto dall'Italia unita e smontare la narrazione di un progresso lineare e benefico; rivelando invece i costi ambientali e sociali della transizione verso un'economia di mercato e la centralità dello Stato-nazione.
La "modernizzazione" si tradusse in una profonda ferita ambientale e sociale, i cui effetti si protraggono fino ai giorni nostri.
La "tragedia dei beni comuni (o meglio delle privatizzazioni) in Italia", letta attraverso le lenti della storia ambientale, diventa così una metafora della tensione irrisolta tra una concezione olistica e comunitaria del territorio e una visione riduzionistica e predatoria delle sue risorse.
La fine delle proprietà comunitarie non fu solo un cambiamento giuridico, ma una frattura culturale e materiale che ha ridisegnato il paesaggio italiano e ha gettato le basi di molte delle attuali emergenze ambientali.
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