Recensione di Donatella Gasparro al libro di Stefania Barca: "Forze di riproduzione. Per una ecologia politica femminista".
(pagg. 282-284)
https://quadernidelladecrescita.it/wp-content/uploads/2025/04/Rivista_06_Completa.pdf
Se è la storia che fa la differenza, cosa succede quando smettiamo di farci fagocitare dalla storia del padrone - quella delle forze di produzione, quella del produttivismo, quella della crescita, quella del dominio – e raccontiamo l’altra storia, quella della vita, quella delle forze di riproduzione?
Leggendo l’ultimo intervento di Stefania Barca, incentrato fortemente sulla giustizia narrativa - ovvero il progetto del raccontare storie dell’abitare umano sulla Terra diverse dalle “storie del padrone” non ho potuto che pensare al lavoro dell’acclamata scrittrice di social science fiction Ursula K. Le Guin, che del reinventare la narrativa e le narrazioni ne
ha fatta ragione di vita.
Come Le Guin ha rivoluzionato il concetto stesso di romanzo trascendendo la figura totalizzante e botulinica dell’"Eroe", così Barca rilegge la Storia dal punto di vista di tutti i soggetti altri-dal-padrone.
Forze di riproduzione, pubblicato dapprima
in inglese nel 2020 dalla Cambridge University Press, è rapidamente diventato un punto dibriferimento a livello internazionale nella letteratura (eco)femminista e di ecologia politica.
Ora, con l’edizione italiana, interviene con
lucidità e concisione in discorsi tanto urgenti quanto ampiamente inesplorati nel panorama nazionale.
Pur restando un libro di stampo accademico il cui contributo è prevalentemente discorsivo e teorico – consideriamo che la versione in inglese è pubblicata nell’ambito delle
Environmental Humanities – "Forze di riproduzione" sblocca un filone d’analisi teorica e politica che mette insieme, ambiziosamente ma efficacemente, il materialismo storico, l’ecologia politica femminista e l’ecofemminismo materialista - confermando e consolidando il recente e necessario ritorno dell’ecofemminismo nelle scienze sociali critiche, ed innescando sinergie chiave per rileggere le crisi del presente.
Le forze di riproduzione sono per Barca
tutti quei «soggetti de-umanizzati, femminilizzati, proletarizzati che riproducono l’umanità prendendosi cura dell’ambiente biofisico che rende possibile la vita».
Con un intervento narrativo quasi rivoluzionario, in questo breve saggio Barca suggerisce le forze di riproduzione come una potente contro-narrazione a quella egemonica dell’Antropocene, quella “nuova” era geologica che ci omogeneizza tutte come parte di una storia di distruzione di portata geologica e planetaria, una storia che esalta le “forze di produzione” (scienza occidentale e tecnologia), fondamenti della modernità capitalista, del “progresso”, della storia del (neutro) “noi” umano.
Barca vede nell’ideale dell’Antropocene l’ultimo capitolo della narrazione egemonica della crescita economica, che riflette il modello padronale della modernità occidentale.
Questo modello viene implicitamente esteso a tutta l’umanità, ed esso stesso incaricato di risolvere la crisi ecologica che ha causato.
La visione unica dell’Antropocene porta Barca a diagnosticare un’impasse storica che chiama “realismo ecocapitalista”, prendendo in prestito ed espandendo il “realismo capitalista” di Mark Fisher, Barca ridisegna i confini della questione ambientale oltre il paradigma
dominante dell’ecomodernismo, che vede in più scienza e più tecnologia l’unica soluzione.
Barca non ci lascia più dubbi: l’idea stessa di Antropocene è da rifiutare.
L’autrice allora sposta radicalmente l’attenzione sull’influenza storica delle forze di ri-produzione nel raggiungimento delle migliori condizioni di vita attuali (in alcuni posti, per alcune persone): decenni di lotte e resistenza, di politiche sociali, di difesa del territorio e sacrifici di vite umane sono ciò che hanno prodotto i diritti odierni; non lo sviluppo inarrestabile delle forze di produzione, bensì ciò che ad esso si è opposto.
Dopo aver sviscerato la narrazione padronale egemonica, Barca affronta il “Disfare l’Antropocene”, analizzando “quattro livelli di negazione/rimozione” (lungo altrettanti assi di oppressione):
1. le relazioni coloniali;
2. le relazioni di genere;
3. le relazioni di classe;
4. le relazioni di specie.
Omissioni della narrazione padronale che derivano dalla rimozione delle forze di riproduzione le quali tengono in vita il mondo.
Partendo dalle relazioni coloniali, Barca sostiene che la crisi ecologica abbia radici molto più antiche della rivoluzione industriale - si pensi alla contro-proposta del “Plantationocene”.
Il "moderno Noi capitalista/industriale" è stato costruito con l’esclusione dei popoli
razzializzati e delle loro ontologie dall’ambito della “vera” umanità, e la crisi ecologica è emersa dall’annientamento di possibilità alternative di abitare la terra.
Riguardo le relazioni di genere, Barca fornisce una panoramica efficace della letteratura ecofemminista materialista, avanzando la proposta di non solo ridurre il lavoro “produttivo” - come nel caso della decrescita - ma anche di "ribaltare la gerarchia delle priorità fra cura e produzione", mirando ad una decrescita femminista che attui politiche economiche finalizzate in primis alla "cura del vivente".
Spostandosi sul tema della classe, Barca nota come la narrazione dell’Antropocene sia la più recente forma di depoliticizzazione della questione l ambientale, nonostante la crisi ecologica sia una conseguenza diretta della differenziazione di classe e della formazione del proletariato.
Barca provvede a tracciare una breve storia dell’ambientalismo operaio, presentando la coscienza ambientale operaia come indispensabile nella trasformazione socio-ecologica.
Ridisegnando infine i confini tra
la natura umana e non umana (specie), Barca si rifà ai nuovi materialismi per mostrare l’esistenza di un mondo non-capitalista nel quale la liberazione avviene con la natura non umana, in connessioni interspecie che estendono l’intersezionalità a tutto il vivente.
"Forze di riproduzione" è quindi un compendio compatto, quasi un manuale, che riassume, riunisce e ridisegna l’ecofemminismo materialista contemporaneo, collegandolo a scuole di pensiero fondamentali per superare il realismo ecocapitalista, seppur restando
limitato nei contributi teorici originali.
L’analisi ecofemminista alla quale Barca ci (re)introduce si estende quindi al di fuori delle mura domestiche e delle divisioni di genere, occupandosi di riproduzione della vita nel senso più ampio.
Questo include - oltre al lavoro di cura umana del quale le femministe hanno trattato abbondantemente - lavoro di sussistenza, cura della terra, difesa dei beni comuni naturali, agroecologia, lavori essenziali quali il riciclaggio del rifiuti.
Barca colloca così le forze di riproduzione come parte indispensabile della lotta di classe globale, ma molte sono le domande che restano aperte sul potenziale rivoluzionario di questa “classe” invisibilizzata.
Cosa potrebbe significare, per esempio, nell’odierna congiuntura, collettivizzare i mezzi di riproduzione?
Come possono le forze di riproduzione divenire soggetto rivoluzionario?
Come possiamo collegare l’indispensabile analisi ecofemminista e una teoria
del cambiamento attuabile?
In questo senso, è quanto più importante
mettere in profonda comunicazione la rivalutazione delle forze di riproduzione e l’analisi intersezionale dell’ecofemminismo materialista con la decrescita, la quale non può che prefiggersi di (ri)mettere la riproduzione socio-ecologica al centro: Barca ha mosso i primi passi in questa fruttuosa direzione, ma tanto resta il lavoro da fare per integrare e sviluppare questo impianto teorico e potenzialmente trasformativo nell’ambito della decrescita, sia italiana che internazionale.
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