Il colonialismo italiano in Africa: oltre la narrazione edulcorata.

di socialclimatejustice.blogspot.com

Lo storico Angelo Del Boca ha dedicato la sua vita di studioso a squarciare il velo di silenzio e menzogne che per decenni ha avvolto i crimini del colonialismo italiano; l'autore non si è limitato a narrare gli eventi, ma li ha smontati e ricostruiti attraverso una mole impressionante di documenti d'archivio, diari, telegrammi e testimonianze, portando alla luce l'orrore sistematico che si celava dietro il mito degli "italiani brava gente".

Libia: "Riconquista" e Campi di Concentramento

La "pacificazione" della Libia, (e in particolare della Cirenaica) tra gli anni '20 e '30 del Novecento, è uno dei capitoli più bui del colonialismo italiano, un vero e proprio genocidio che Del Boca ha documentato con spietata precisione; la strategia attuata dai governatori Pietro Badoglio e, soprattutto, Rodolfo Graziani, non fu una campagna militare convenzionale, ma una guerra totale contro la popolazione civile, considerata il serbatoio logistico e umano della resistenza senussita guidata da Omar al-Mukhtar.

Deportazioni di massa: il punto centrale del piano di Graziani fu lo sradicamento dell'intera popolazione nomade e seminomade dal Gebel Akhdar, dove a partire dal 1930, circa 100.000 civili, uomini, donne, bambini e anziani, furono costretti a marce forzate di centinaia di chilometri attraverso il deserto verso la costa; violenze, fame e sete decimarono queste carovane umane durante i trasferimenti.

Campi di concentramento: i sopravvissuti alle deportazioni vennero internati in una rete di tredici campi di concentramento dislocati sulla costa della Sirtica, tra cui i tristemente noti campi di Soluch, Sidi Ahmed el-Magrun ed El-Agheila, veri e propri lager destinati allo sterminio, dove la razione alimentare era scientificamente calcolata per essere insufficiente alla sopravvivenza, l'acqua era scarsa e contaminata, e le pessime condizioni igieniche favorivano il diffondersi di tifo e altre epidemie; si stima che nei campi siano periti tra i 40.000 e i 60.000 civili, più della metà della popolazione deportata.

Repressione ed esecuzioni: Del Boca documenta come la repressione non si limitasse ai campi; esecuzioni sommarie, impiccagioni pubbliche (come quella del leader della resistenza Omar al-Mukhtar nel 1931 a Soluch, davanti a 20.000 deportati costretti ad assistere) e l'uso di aerei per mitragliare e bombardare i "ribelli" e il loro bestiame erano pratiche all'ordine del giorno, teorizzate per spezzare il morale della resistenza.

L'analisi di Del Boca sulla Libia va ben oltre il periodo fascista, per dimostrare la fondamentale continuità di metodi e mentalità tra la conquista liberale giolittiana (1911-12) e la successiva "riconquista" fascista. 

Conquista liberale e riconquista fascista: Del Boca evidenzia come la brutalità non fosse un'esclusiva del fascismo, già durante la guerra italo-turca, l'esercito italiano si macchiò di eccidi, come durante le giornate di Sciara Sciat (ottobre 1911), quando alla morte di circa 500 soldati italiani seguì una rappresaglia indiscriminata sulla popolazione araba di Tripoli con migliaia di vittime, dimostrando così che la violenza fascista non fu una "deviazione", ma l'intensificazione di pratiche già sperimentate in epoca liberale, smentendo definitivamente la narrazione di un colonialismo pre-fascista più "gentile".

L'illusione della "colonizzazione demografica": Del Boca analizza con dati precisi il fallimento dell'impresa di "colonizzazione demografica" culminata con l'invio in massa di ventimila coloni nel 1938; svelandone l'enorme costo propagandistico e finanziario e mostrando come nelle terre desertiche espropriate con la forza ai libici ed assegnate ai coloni, la produttività fosse bassissima e la convivenza tra italiani e libici, basata sulla sopraffazione, impossibile.

La voce dei vinti: un aspetto innovativo dell'opera di Del Boca è il tentativo di ricostruire la storia dalla prospettiva libica utilizzando fonti arabe e memorie dei leader della resistenza (come quella di Mohamed Fekini), per dare voce e spessore storico alla società libica; lo storico non descrive solo la resistenza armata di Omar al-Mukhtar, ma anche la complessa organizzazione sociale e politica della Senussia e la devastazione culturale e umana prodotta dalla colonizzazione, restituendo dignità e agency storica al popolo libico.

Etiopia: gas e terrore di Stato

La guerra di conquista dell'Etiopia (1935-1936) e la successiva occupazione rappresentano, nell'opera di Del Boca, l'apice della criminalità fascista in Africa; il suo lavoro di ricerca ha svelato al mondo verità a lungo negate dalle autorità italiane.

Uso sistematico di armi chimiche: la scoperta più sconvolgente di Del Boca è stata la prova documentale, basata sui ordini inequivocabili scambiati tra Mussolini, Badoglio e Graziani, dell'uso massiccio e deliberato di gas asfissianti (contro ogni convenzione internazionale); l'aviazione italiana sganciò tonnellate di iprite (un gas vescicante) e fosgene non solo su obiettivi militari ma anche su civili, villaggi, corsi d'acqua e pascoli, con l'obiettivo di piegare la resistenza etiope e attuare una politica di terrore.

La strage di Addis Abeba (Yekatit 12): Del Boca dedica pagine agghiaccianti alla rappresaglia che seguì l'attentato a Rodolfo Graziani del 19 febbraio 1937, quando per tre giorni, la capitale etiope fu messa a ferro e fuoco, e le camicie nere, i lavoratori italiani e le truppe coloniali, con la piena approvazione delle autorità, si scatenarono in una caccia all'uomo indiscriminata che costo' la vita a migliaia di etiopi (le stime variano, ma si parla di cifre tra i 6.000 e i 30.000 morti) massacrati a colpi di pugnale, bastone e fucile; le case (i "tucul") vennero date alle fiamme con gli abitanti all'interno, un pogrom razzista di dimensioni spaventose, un atto di terrorismo di stato volto a punire collettivamente l'intera popolazione.

Il massacro di Debra Libanòs: la furia omicida di Graziani non si fermò ad Addis Abeba e il generale, convinto, senza alcuna prova, che i monaci del convento copto di Debra Libanòs (uno dei luoghi più sacri d'Etiopia) fossero coinvolti nell'attentato, ne ordinò lo sterminio, così nel maggio del 1937 circa 450 tra monaci, diaconi e pellegrini furono prelevati e fucilati in massa sull'orlo di un burrone. 

Del Boca analizza inoltre la costruzione e la gestione dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana (AOI: Eritrea, Somalia, Etiopia), rivelando come esso sia stato il principale laboratorio per l'ideologia razzista del fascismo e un colossale progetto destinato al collasso.

L'Impero come laboratorio del razzismo: molto prima delle leggi razziali del 1938 in patria, l'AOI fu il terreno di sperimentazione di un rigido regime di apartheid; Del Boca è stato pioniere nel documentare questa legislazione segregazionista, analizzando in dettaglio le norme che miravano a preservare il "prestigio della razza".

Del Boca dimostra come queste leggi non fossero atti estemporanei, ma il cuore del progetto imperiale fascista: un impero basato sulla dominazione e sulla superiorità razziale.

Proibizione del "madamato": furono introdotte leggi severissime (come il Regio Decreto-Legge n. 880 del 1937) che punivano con la reclusione le relazioni sessuali e di convivenza tra cittadini italiani e "sudditi" dell'impero, pratica fino ad allora tollerata e diffusa.

Segregazione urbana: nei piani regolatori delle città coloniali, come Addis Abeba, vennero create zone residenziali separate per bianchi e neri, con la proibizione per gli africani di accedere a determinati locali, mezzi pubblici e aree urbane.

Gerarchia del lavoro: l'ordinamento imperiale prevedeva una rigida gerarchia razziale anche nel mondo del lavoro, impedendo a qualsiasi italiano di essere alle dipendenze di un "suddito" africano.

L'inefficienza dell'amministrazione Imperiale e la persistenza della Resistenza

Sebbene il regime avesse costruito migliaia di chilometri di strade, Del Boca ne rivela la funzione militare e di controllo a discapito di un reale sviluppo economico per le popolazioni locali; lo storico descrive un'amministrazione burocratica, spesso corrotta e inefficiente, incapace di governare un territorio immenso e di gestire le complesse realtà etniche e culturali: l'impero, che doveva diventare una fonte di ricchezza per l'Italia, si rivelò un enorme costo economico, assorbendo ingenti risorse senza mai raggiungere l'autosufficienza.

Del Boca contraddice la propaganda fascista che dipingeva l'Etiopia come pacificata dopo il 1936; l'autore dedica ampio spazio alla resistenza etiope (gli arbegnoch) che non si arrese mai e continuò a operare con azioni di guerriglia per tutta la durata dell'occupazione. Ricostruendo le loro imprese, Del Boca dimostra che l'Impero italiano non ebbe mai il controllo totale del territorio, rimanendo un gigante dai piedi d'argilla, la cui caduta nel 1941 fu tanto rapida quanto inevitabile.

Il lavoro di Angelo Del Boca, dunque, è un atto d'accusa fondato su prove inoppugnabili; le sue opere hanno costretto l'Italia a confrontarsi con una verità storica terribile: il colonialismo italiano non fu "mite" né "diverso", fu un'impresa imperialista brutale, macchiata da crimini di guerra e crimini contro l'umanità che nulla hanno da invidiare a quelli di altre potenze coloniali.

Oltre alla cruda e necessaria documentazione delle atrocità, le opere di Del Boca offrono un'analisi storica molto più ampia e stratificata, scardinando il mito coloniale dalle sue fondamenta politiche, economiche e sociali; approfondire questi testi significa scoprire come Del Boca abbia meticolosamente decostruito non solo la violenza, ma l'intero apparato ideologico e amministrativo dell'imperialismo italiano.


Angelo Del Boca: "Italiani, brava gente?

Angelo Del Boca: "Gli italiani in Libia. Dal fascismo a Gheddafi";

Angelo Del Boca: "Gli italiani in Africa Orientale. La conquista dell'impero";

Angelo Del Boca: "I gas di Mussolini.Il fascismo e la guerra d'Etiopia".


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