La Rivoluzione come Domanda.

di socialclimatejustice.blogspot.com

Dall'obiettivo del Potere alla potenza del fare.

John Holloway, sociologo e filosofo marxista di origine irlandese, rappresenta una delle voci più radicali e innovative nel panorama del pensiero critico contemporaneo.
La sua opera si distacca nettamente dal marxismo-leninismo tradizionale per proporre una riconcettualizzazione della rivoluzione, non come un evento futuro incentrato sulla presa del potere statale, ma come un processo presente, radicato nelle pratiche quotidiane di rifiuto e creazione.

Il "Grido" e il Rifiuto del Potere 

Per Holloway Il punto di partenza di una rottura epistemologica con la teoria rivoluzionaria del XX secolo non è un'analisi programmatica, ma un'esperienza esistenziale e politica: il grido (the scream).
Il grido è l'urlo primordiale di rifiuto contro la disumanizzazione, l'alienazione e la miseria imposte dal capitalismo.
Non è un'articolazione teorica, ma la negazione viscerale e immediata di ciò che è.
Per Holloway, qualsiasi teoria rivoluzionaria che non parta da questa negatività tradisce il suo impulso originario.
Holloway sostiene che l'obiettivo tradizionale della sinistra – prendere il potere dello Stato per cambiare la società – è un vicolo cieco.
Lo Stato non è uno strumento neutrale, ma una forma sociale capitalistica, profondamente intrisa da logiche di separazione, gerarchia e dominio.
Tentare di usare lo Stato per fini emancipatori significa rimanere intrappolati nelle sue stesse logiche di potere.
L'autore opera una distinzione concettuale fondamentale tra il "potere-su" (power-over): il potere come dominio, la capacità di imporre la propria volontà sugli altri (la logica del capitale e dello Stato); e il "potere-di" (power-to), o "potenza": la capacità umana collettiva di agire, creare, trasformare il mondo (il "fare" sociale).
La rivoluzione, per Holloway, non consiste nel sostituire un gruppo che detiene il potere-su con un altro, ma nel dissolvere le relazioni di potere-su per liberare il potere-di.
Attingendo profondamente alla critica dell'economia politica di Marx, Holloway rilegge il concetto di feticismo.
Il capitale, il denaro, lo Stato non sono entità esterne, ma creazioni dell'agire umano che si sono autonomizzate e ora ci dominano.
La lotta di classe, quindi, non è semplicemente la lotta tra la classe operaia e la borghesia, ma la lotta dell'umanità (il nostro "fare") contro le proprie creazioni feticizzate: è la lotta per riappropriarsi della nostra capacità di determinare le nostre vite.
La prospettiva politica che emerge è quella dell'anti-potere: la rivoluzione non è una guerra di posizione per conquistare il palazzo, ma la creazione e l'espansione di spazi (e relazioni sociali) autonomi qui e ora.
L'influenza del movimento zapatista del Chiapas è evidente: l'idea di costruire un mondo nuovo nel guscio del vecchio, senza puntare alla presa del potere statale; la politica diventa dunque un'attività "interstiziale", un processo di creazione di alternative che minano dall'interno la logica del capitale.

Dalla negazione alla creazione

"Se non prendiamo il potere, allora cosa facciamo?"
La risposta di Holloway è racchiusa in una metafora potente: "creare crepe".
Il capitalismo non è un sistema monolitico e onnipotente; è un tessuto di relazioni sociali di dominio che noi stessi riproduciamo ogni giorno.
Tuttavia, in ogni momento di rifiuto, di cooperazione, di creazione di relazioni basate sulla dignità e non sul profitto, apriamo una "crepa" in questo tessuto.
La rivoluzione non è un singolo evento catastrofico (la rottura del muro), ma la moltiplicazione e la connessione di innumerevoli crepe.
Holloway insiste sul fatto che le crepe non sono progetti per il futuro, ma realtà del presente: un orto comunitario, un centro sociale occupato, un software open source, una cooperativa di lavoro, persino un atto di amore o amicizia che resiste alla mercificazione, sono tutte crepe nel dominio del capitale; sono "spazi-tempi interstiziali" dove si sperimentano forme diverse di socialità.
Le crepe nascono da un'affermazione di dignità, dal rifiuto di essere trattati come meri oggetti o risorse per l'accumulazione di capitale: la lotta per la dignità è il motore che spinge a creare forme di vita non capitalistiche.
La politica delle crepe è una politica del "qui e ora"; non rimanda la trasformazione a un "dopo la rivoluzione", ma la radica nelle pratiche quotidiane.
Questo implica valorizzare una pluralità di forme di resistenza, spesso invisibili alle teorie politiche tradizionali: la prospettiva non è quella di un fronte unificato che marcia contro il capitale, ma quella di una "sinfonia della ribellione" composta da una miriade di atti di creazione e rifiuto.
L'obiettivo è espandere queste crepe fino a che il sistema perda la sua coerenza e collassi sotto il peso delle alternative che fioriscono al suo interno.

Dal Lavoro al Fare: la ridefinizione della Lotta di Classe

Per Holloway, la lotta di classe non è scomparsa; è stata semplicemente fraintesa dal marxismo ortodosso.
La lotta di classe non è primariamente la lotta per salari più alti o migliori condizioni di lavoro all'interno del rapporto capitale-lavoro.
È una lotta (molto più fondamentale) tra il "fare umano concreto" e il "lavoro astratto": il "fare" è la nostra attività creativa, multiforme, qualitativa; il "lavoro astratto" è la riduzione di questa attività a una mera quantità di tempo socialmente necessario, finalizzata alla produzione di valore e plusvalore.
La lotta di classe è quindi il conflitto costante e quotidiano contro la nostra sussunzione nel lavoro astratto: è la lotta per affermare il nostro "fare" contro la sua riduzione a "lavoro".
In questo senso, la lotta di classe non avviene solo in fabbrica, ma ovunque: a scuola, in casa, nelle nostre relazioni affettive, nel nostro rapporto con la natura.
Il "grido" è il suono di questa lotta, e le "crepe" sono le sue manifestazioni pratiche.
La classe operaia non è un'identità sociologica fissa, ma un polo in questa lotta: noi siamo classe nella misura in cui lottiamo "contro" la nostra stessa classificazione come forza-lavoro.

Tra Utopia e Strategia

Il percorso teorico di John Holloway offre una potente critica alle concezioni stataliste e avanguardiste della rivoluzione, re-immettendo la soggettività, la dignità e la pratica quotidiana al centro del progetto di trasformazione sociale.
Dal "grido" di rifiuto alla paziente costruzione di alternative nelle "crepe", il suo pensiero traccia una traiettoria dalla negazione all'affermazione, ridefinendo la lotta di classe come la perenne tensione tra la creatività umana e la sua cattura capitalistica.
"Ma come si difendono le crepe dalla repressione dello Stato?"
"Come si connettono tra loro per formare una forza trasformatrice coerente?"
Holloway risponderebbe, con gli zapatisti, "preguntando caminamos" (camminiamo domandando).
Non esiste un modello predefinito, perché qualsiasi modello imposto dall'alto ricadrebbe nella logica del potere-su.
La sua opera, più che fornire un manuale per la rivoluzione, è un invito a cambiare la domanda stessa: non "come possiamo prendere il potere?", ma "come possiamo creare un mondo basato sulla dignità e sul mutuo riconoscimento, qui e ora?".
In questa inversione radicale della domanda risiede il suo contributo più duraturo e stimolante.


John Holloway: "Che fine ha fatto la lotta di classe?";

John Holloway: "Cambiare il mondo senza prendere il potere";

John Holloway: "Crack Capitalism".


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