Lo sterminio degli Herero e dei Nama.

di socialclimatejustice.blogspot.com


Il primo genocidio del XX Secolo

Tra il 1904 e il 1908, nell'Africa Tedesca del Sud-Ovest (l'attuale Namibia), le forze coloniali dell'Impero Germanico perpetrarono il sistematico sterminio delle popolazioni Herero e Nama.
Nel gennaio del 1904, il popolo Herero, guidato da Samuel Maharero, e il popolo Nama, guidato da Hendrik Witbooi, si ribellarono contro l'espropriazione delle terre e la violenza dell'occupazione tedesca.
La strategia genocidaria fu implementata dai colonizzatori con brutale efficienza: massacri diretti, avvelenamento dei pozzi nel deserto del Kalahari per bloccare ogni via di fuga, e la creazione di campi di concentramento dove migliaia di prigionieri morirono di stenti, malattie e lavori forzati.
Si stima che circa l'80% della popolazione Herero e il 50% di quella Nama furono sterminati.

Le prove del progetto di annientamento

Lo sterminio degli Herero e dei Nama non fu dunque un "eccesso bellico", ma un "progetto deliberato" che prefigurò i genocidi successivi.
Il carattere sistematico del genocidio delle popolazioni Herero e Nama si è rivelato, alla prova dei fatti, inconfutabile.
L'ordine di sterminio: il documento più esplicito in questo senso è il proclama emesso dal generale Lothar von Trotha il 2 ottobre 1904.
Non si trattava di un ordine militare convenzionale, ma di una dichiarazione di annientamento rivolta a un intero popolo.
Il testo non lasciava spazio a interpretazioni: «Io, il grande generale dei soldati tedeschi, invio questa lettera al popolo Herero. [...]
Tutti gli Herero devono lasciare il paese.
Se non lo faranno, li costringerò con il cannone.
Ogni Herero che sarà trovato all'interno dei confini tedeschi, con o senza un'arma, con o senza bestiame, verrà ucciso.
Non accoglierò più né donne né bambini: li ricaccerò alla loro gente o farò sparare loro addosso.
Queste sono le mie parole per il popolo Herero.»
Questo ordine non mirava a sconfiggere un esercito, ma a eliminare un'intera etnia, inclusi i civili non combattenti: la prova inconfutabile dell'intento genocidario.
La Strategia Militare: la battaglia di Waterberg (agosto 1904) non fu seguita da negoziati o dalla cattura dei nemici, ma da una caccia all'uomo su vasta scala.
Le truppe tedesche spinsero deliberatamente decine di migliaia di Herero, incluse famiglie intere, nel deserto del Kalahari.
Successivamente, sigillarono il deserto e avvelenarono i pozzi d'acqua per assicurarsi che non ci fossero sopravvissuti.
Questa tattica dimostra una volontà di sterminio totale che va ben oltre gli obiettivi militari tradizionali.
L'Istituzione dei Campi di Concentramento: i sopravvissuti alla fuga nel deserto, e in seguito i Nama che si ribellarono, furono internati in campi di concentramento.
Questi non erano semplici campi di prigionia, ma luoghi di morte sistematica.
Il più noto è quello sull'Isola di Shark Island, soprannominato Todesinsel (Isola della Morte).
Le condizioni erano disumane: lavoro forzato fino allo sfinimento, fame, freddo e assenza di cure mediche.
Gli storici calcolano tassi di mortalità altissimi, in alcuni casi superiori al 70-80%. Questo sistema di campi rappresentò una tecnologia di annientamento che sarà poi perfezionata dal regime nazista.

Continuità ideologica e pratica con il nazismo

Gli storici hanno tracciato connessioni dirette e inquietanti tra il genocidio in Namibia e l'Olocausto.
Non si tratta di semplici analogie, ma di vere e proprie continuità.
Ideologia Razziale e Lebensraum: la violenza contro gli Herero e i Nama era alimentata da un'ideologia basata sulla superiorità della "razza" tedesca e sulla necessità di conquistare Lebensraum (spazio vitale) per i coloni.
L'idea che le "razze inferiori" potessero e dovessero essere eliminate per fare spazio alla "razza superiore" è un pilastro ideologico che collega direttamente il colonialismo imperiale al progetto nazista di espansione a Est.
Il genocidio africano fu un "laboratorio" in cui si testarono le idee che Hitler avrebbe poi applicato in Europa.
"Scienza" Razziale ed esperimenti medici: nei campi in Namibia vennero condotti esperimenti pseudoscientifici sui prigionieri.
Antropologi e medici tedeschi si recarono nei campi per studiare i prigionieri, misurarne i crani e prelevare campioni.
Centinaia di teste di Herero e Nama furono mozzate e spedite in Germania per "ricerche razziali".
Questa pratica di disumanizzare e trasformare esseri umani in materiale da laboratorio è un'agghiacciante anticipazione di ciò che sarebbe accaduto nei campi di sterminio nazisti.
Continuità di personale: esiste anche una continuità biografica.
Figure che parteciparono attivamente alla repressione in Namibia, divennero in seguito gerarchi di alto rango del Partito Nazista.
Questo dimostra come l'esperienza coloniale e le pratiche genocidarie in Africa abbiano formato una generazione di militari e amministratori che avrebbero poi messo il loro "know-how" al servizio del Terzo Reich.
Le fonti storiche non lasciano dubbi: l'ordine di sterminio di von Trotha, l'uso del deserto come arma di morte, l'istituzione di campi di annientamento e gli esperimenti "scientifici" sui prigionieri costituiscono le prove di un progetto deliberato.
Le continuità ideologiche (razzismo, Lebensraum), metodologiche (campi di concentramento) e persino biografiche con il nazismo confermano che il genocidio degli Herero e dei Nama non fu un evento isolato, ma una tappa fondamentale e premonitrice nella storia delle atrocità del XX secolo.

Un crimine riconosciuto

Per decenni, la Germania ha evitato di utilizzare il termine "genocidio", in parte per timore delle implicazioni legali e delle richieste di riparazioni; ma il riconoscimento del crimine come "genocidio" ha tuttavia un valore morale, politico e giuridico imprescindibile.
Nel 2021 il governo tedesco ha ufficialmente riconosciuto le atrocità come un genocidio e ha promesso un pacchetto di aiuti allo sviluppo di 1,1 miliardi di euro da erogare in 30 anni.
I negoziati però hanno in gran parte escluso i rappresentanti diretti delle comunità Herero e Nama, privilegiando un accordo inter-statale con il governo namibiano.
Questo approccio mina la legittimità dell'accordo e perpetua una dinamica coloniale in cui le voci delle vittime dirette sono messe a tacere.
Il riconoscimento, quindi, pur essendo un passo storico, si rivela viziato nella forma e insufficiente nella sostanza.

Le scuse e il silenzio assordante

Questo silenzio si manifesta su più livelli.
Mancanza di Riparazioni adeguate: il governo tedesco definisce i fondi promessi come "aiuti alla ricostruzione e allo sviluppo" e non come "riparazioni".
Questa distinzione non è meramente semantica: essa nega l'esistenza di un obbligo legale derivante da un illecito internazionale e trasforma un atto di giustizia dovuto in un "gesto di benevolenza".
Per le comunità Herero e Nama, ciò rappresenta il rifiuto di riconoscere pienamente il danno economico, culturale e spirituale subito e tramandato per generazioni.
Silenzio nella sfera pubblica ed educativa: il genocidio Herero-Nama rimane un capitolo marginale nella memoria collettiva e nel sistema educativo tedesco.
A differenza dell'Olocausto, la cui memoria è un pilastro dell'identità nazionale tedesca del dopoguerra, la violenza coloniale è ancora relegata ai margini.
Questo silenzio pubblico impedisce una piena assunzione di responsabilità storica e la comprensione delle continuità tra l'ideologia razziale coloniale e quella nazista.
Silenzio diplomatico e giuridico: l'accordo del 2021 è stato concepito anche per chiudere la porta a future rivendicazioni legali da parte dei discendenti delle vittime.
In questo senso, le scuse e l'accordo finanziario funzionano come uno strumento per imporre il silenzio, piuttosto che per aprire un vero dialogo riconciliativo.
Si tratta di una "giustizia dall'alto", che non guarisce le ferite ma cerca di gestire e contenere le conseguenze di un passato scomodo.

Oltre il riconoscimento formale: un monito universale

Il percorso verso la giustizia non termina però con una dichiarazione ufficiale né con una stretta di mano diplomatica.
Al contrario, il riconoscimento formale deve essere l'inizio, non la fine, di un processo complesso che includa riparazioni significative, una riformulazione della memoria storica e, soprattutto, l'ascolto e la partecipazione attiva delle comunità colpite.
Le scuse senza un'autentica riparazione e senza un cambiamento strutturale rischiano di trasformarsi in un esercizio di vuota retorica.
Il "silenzio" in questo caso non è "assenza di rumore", ma l'assordante vuoto lasciato da una giustizia promessa e non ancora compiuta.
Il genocidio delle popolazioni Herero e Nama costringe a interrogarsi su cosa significhi realmente "fare i conti con la storia" e su quali siano le condizioni per una riconciliazione che non sia solo dichiarata, ma pienamente vissuta.



Isabel Hull: "Absolute Destruction";

David Olusoga: "The Kaiser's Holocaust";

Jürgen Zimmerer: "Genocide in German South-West Africa".

Ewelina U. Ochab: "The Herero-Nama Genocide".

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