Oltre i confini dell'Occidente: sguardi critici su Potere, Razza e Dominio.

di socialclimatejustice.blogspot.com

Una critica radicale all'eredità del colonialismo e all'eurocentrismo, che ancora pervadono le strutture del sapere e del potere globale, emerge da un quadro complesso che svela logiche di dominio e di de-umanizzazione, aprendo al contempo a nuove prospettive politiche di liberazione.

Frantz Fanon e la violenza della Liberazione

Pubblicato alle soglie delle indipendenze africane, "I dannati della terra" di Frantz Fanon è un'analisi psicologica e politica implacabile del sistema coloniale.
Psichiatra martinicano coinvolto attivamente nella lotta di liberazione algerina, Fanon seziona con lucidità chirurgica gli effetti patologici del colonialismo sulla psiche del colonizzato.
Il lavoro di Fanon si fonda sulla comprensione del mondo coloniale come uno spazio manicheo, rigidamente diviso tra la "zona dell'essere del colono" e la "zona del non-essere del colonizzato".
Questa divisione non è meramente economica o politica, ma si inscrive nei corpi e nelle menti, generando alienazione, complesso di inferiorità e disturbi mentali.
L'elemento chiave del pensiero di Fanon è la sua teorizzazione della "violenza": per l'autore, la violenza del colonizzato non è un'esplosione irrazionale, ma una "forza contro-violenta", una reazione necessaria e catartica alla violenza originaria e totalizzante del colonialismo.
È attraverso la lotta armata che il colonizzato si riappropria della propria umanità, si libera dalla paralisi psicologica imposta dal dominio e si costituisce come soggetto storico.
La prospettiva politica di Fanon è dunque quella di una decolonizzazione totale, che non si accontenti di una mera indipendenza formale, ma che miri a una disalienazione profonda e alla creazione di un "uomo nuovo".
L'autore mette in guardia contro le trappole del "nazionalismo borghese post-indipendenza", che rischia di replicare le strutture di sfruttamento coloniali a vantaggio delle élite locali.

Edward Said e la "costruzione dell'Altro"

Se Fanon analizza la violenza fisica e psicologica del colonialismo, Edward Said, in "Orientalismo", si concentra sulla violenza epistemica, ovvero sul modo in cui il sapere occidentale ha costruito e dominato l'"Oriente".
L'opera di Said è una critica monumentale a un intero campo di studi, l'"orientalismo" appunto, che egli definisce come un "discorso" nel senso foucaultiano del termine: un sistema di rappresentazioni, stereotipi e conoscenze che ha legittimato e reso possibile il dominio coloniale europeo sul Medio Oriente e sull'Asia.
Said si basa sull'idea che l'Oriente non sia un'entità geografica e culturale data, ma una "costruzione dell'immaginario occidentale", un'immagine speculare e inferiore dell'Occidente stesso.
L'orientalismo opera attraverso una serie di binarismi (razionale/irrazionale, moderno/arretrato, civilizzato/selvaggio) che fissano l'Oriente in una posizione di alterità radicale e subalternità.
Un aspetto chiave dell'analisi di Said riguarda la stretta "connessione tra potere e conoscenza": il sapere orientalista non è mai innocente, ma è sempre intrecciato con gli interessi imperiali.
La prospettiva politica di Said è quella di un "umanesimo critico", che decostruisce queste rappresentazioni egemoniche e promuove una comprensione più complessa e sfumata delle culture non-occidentali, basata sul dialogo e sul riconoscimento reciproco anziché sulla dominazione.

Achille Mbembe e il "potere di Morte"

Achille Mbembe, filosofo e teorico politico camerunese, sposta l'analisi delle logiche coloniali al cuore della sovranità moderna, coniando il concetto di "necropolitica".
Partendo dalla "biopolitica" di Foucault (il potere di "fare vivere e lasciare morire"), Mbembe sostiene che, in particolare nei contesti coloniali e postcoloniali, la sovranità si manifesta soprattutto come il "potere di decidere chi deve morire".
La necropolitica è l'amministrazione della morte, la capacità di assoggettare intere popolazioni a condizioni di vita che equivalgono a una morte civile e, spesso, fisica.
Mbembe attinge a Fanon e Foucault per dimostrare come la "colonia" sia stata il laboratorio della modernità necropolitica.
Lì, il diritto di uccidere non era un'eccezione, ma la norma, e il razzismo era lo strumento che permetteva di de-umanizzare il colonizzato, trasformandolo in un corpo sacrificabile.
Elementi chiave della sua analisi sono la figura dello "schiavo" come archetipo del soggetto necropolitico e le forme contemporanee di esercizio del potere di morte, come la guerra al terrore, l'occupazione militare (in particolare quella palestinese) e la gestione dei flussi migratori.
La prospettiva politica di Mbembe è quella di una "critica radicale alla sovranità statale moderna" e alle sue tecnologie di morte.
L'autore invita a pensare a forme di comunità e di politica che trascendano la logica del confine, della razza e della violenza sovrana, aprendo a un'etica del vivente e della riparazione.

Dipesh Chakrabarty e la "decostruzione dell'Eurocentrismo"

Dipesh Chakrabarty, storico indiano e membro del Subaltern Studies Group, con "Provincializzare l'Europa" porta la critica postcoloniale all'interno della stessa disciplina storica.
Il suo progetto non è un rifiuto totale del pensiero europeo, ma un tentativo di "provincializzarlo", ovvero di storicizzarlo e di mostrarne i limiti, decostruendone la pretesa di universalità.
Chakrabarty articola il suo lavoro attorno alla critica dello "storicismo", l'idea cioè che "tutte le società seguano un unico percorso di sviluppo storico il cui modello è l'Europa".
Questa visione, sostiene Chakrabarty, relega le storie non-occidentali a una "sala d'attesa della storia", condannandole a essere sempre inadeguate o incomplete rispetto al presunto originale europeo.
Elementi chiave della sua proposta sono la distinzione tra "Storia 1" (la storia del capitale, una logica astratta e universale) e "Storia 2" (le storie di vita, le affettività e le forme di esistenza che non sono completamente sussunte dal capitale) e l'attenzione per le "differenze storiche" che non possono essere ridotte a una narrazione unica e lineare.
La prospettiva politica di Chakrabarty è quella di una pratica storiografica che sia in grado di rendere conto della pluralità delle temporalità e delle esperienze storiche, riconoscendo che la modernità è sempre una "traduzione" e un incontro conflittuale tra logiche diverse.

La complessa eredità del colonialismo 

Pur con le loro specificità, i quattro autori condividono un nucleo teorico e politico comune.
Tutti partono dall'esperienza del colonialismo come evento fondante della modernità, non come una sua deviazione.
La "razza" è per tutti una categoria centrale, non un mero residuo pre-moderno, ma un "dispositivo politico fondamentale" per la gestione del potere, la divisione del lavoro e la giustificazione della violenza.
Fanon ne svela la dimensione psicopatologica, Said la sua costruzione discorsiva, Mbembe la sua funzione necropolitica e Chakrabarty il suo ruolo nel negare la contemporaneità storica ai popoli non-europei.
Tutti e quattro, inoltre, operano una "critica radicale all'universalismo astratto dell'Illuminismo europeo", mostrando come i suoi ideali di libertà, ragione e umanità siano stati sistematicamente negati ai popoli colonizzati.
La loro non è una semplice richiesta di inclusione nell'universalismo occidentale, ma una messa in discussione della sua stessa struttura.
Da Fanon che invoca la creazione di un uomo nuovo al di fuori dei valori europei, a Chakrabarty che cerca di pensare una modernità politica non interamente definita dalle categorie europee, emerge la ricerca di un universalismo diverso, concreto e plurale.
In conclusione, Fanon, Said, Mbembe e Chakrabarty offrono strumenti critici imprescindibili per comprendere il mondo contemporaneo.
Le loro opere mostrano quanto il colonialismo non sia un capitolo chiuso della storia, ma un'eredità che continua a strutturare le relazioni di potere globali, le disuguaglianze economiche, le gerarchie razziali e le forme del sapere.
Leggerli insieme significa intraprendere un viaggio intellettuale di "decolonizzazione della mente", un esercizio necessario per immaginare e costruire un futuro più giusto, libero dalla violenza e dal dominio che hanno caratterizzato la modernità occidentale.


Frantz Fanon: "I dannati della terra";

Edward Said: "Orientalismo"; 

Achille Mbembe: "Necropolitica";

Dipesh Chakrabarty: "Provincializzare l'Europa".


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