Potere, Cultura e Rappresentazione

 di socialclimatejustice.blogspot.com

Edward W. Said (1935-2003) è stato una figura intellettuale di statura monumentale, la cui opera ha attraversato e ridefinito i confini della critica letteraria, della teoria postcoloniale e dell'attivismo politico.
Al centro del suo pensiero si trova l'analisi e l'evoluzione di un'idea centrale: il nesso inscindibile tra "potere, sapere e rappresentazione", e, attraverso questo, il modo in cui la cultura occidentale ha costruito e mantenuto il proprio dominio sull'Altro non solo con la forza militare ed economica, ma anche con la forza delle idee.

Decostruzione del sapere coloniale

Said sconvolge la concezione tradizionale degli studi orientali, rivelandone le profonde e problematiche connessioni con il potere imperiale.
Il lavoro teorico di Said è un'originale sintesi di diverse correnti del pensiero critico novecentesco, in particolare di due suoi pilastri principali.
Michel Foucault: Said adotta il concetto di "discorso" di Foucault.
L'Orientalismo non è semplicemente un campo di studi accademici sul "mondo orientale", ma un potente e pervasivo "discorso", ovvero un sistema di rappresentazioni, immagini, stereotipi e vocabolari che crea e definisce l'oggetto stesso che pretende di descrivere: l'Oriente.
Questo discorso non è innocente né obiettivo: è un "apparato di potere/sapere che produce una verità sull'Oriente", funzionale al dominio occidentale.
Antonio Gramsci: da Gramsci, Said mutua il concetto di "egemonia culturale".
L'egemonia è la capacità di una classe dominante (in questo caso, l'Occidente imperialista) di imporre la propria visione del mondo come "senso comune", rendendo il proprio dominio non solo tollerato ma percepito come naturale e legittimo.
L'Orientalismo è dunque lo strumento di questa egemonia, che persuade l'Occidente stesso (e in parte anche l'Oriente) della superiorità della cultura occidentale e dell'inferiorità, irrazionalità e arretratezza di quella orientale; Said identifica tre significati interconnessi di "Orientalismo".
"La disciplina accademica": l'insieme degli studi filologici, storici e antropologici dedicati all'Oriente.
"Uno stile di pensiero": una distinzione ontologica ed epistemologica fondamentale tra "l'Oriente" e "l'Occidente", che si manifesta in una vasta gamma di opere letterarie, filosofiche e politiche.
"Un'istituzione corporativa": un sistema di potere per dominare, ristrutturare e avere autorità sull'Oriente.
Per Said l'Oriente è "quasi un'invenzione europea", uno spazio immaginario su cui l'Occidente ha proiettato le proprie paure, i propri desideri e le proprie fantasie.
Questo "Oriente orientalista" è caratterizzato da una serie di stereotipi persistenti: è descritto come "eterno e immutabile", "sensuale e depravato", "irrazionale e dispotico", in netto contrasto con un Occidente dipinto come dinamico, razionale, virtuoso e democratico.
L'Oriente diventa così l'"Altro" speculare dell'Occidente, la sua antitesi necessaria per definire la propria identità superiore.
Said distingue inoltre un "Orientalismo latente" (l'insieme di assunti e fantasie inconsce sull'Oriente) e un "Orientalismo manifesto" (le politiche e le dottrine esplicite applicate all'Oriente).
La critica di Said non è puramente accademica, ma un atto politico fondamentale: la "decolonizzazione del sapere".
Smascherando l'Orientalismo come un discorso di potere, Said intende restituire voce e agency a quei popoli che sono stati oggetti passivi di studio e dominio.
L'obiettivo politico è smantellare le strutture intellettuali che giustificano l'imperialismo, per aprire la strada a forme di conoscenza più eque e dialogiche, in cui l'Oriente possa finalmente parlare per sé.

Dalla Teoria alla Prassi politica

Said sposta poi la sua analisi dal discorso generale sull'Oriente al caso specifico del suo popolo, i palestinesi, mostrando come le dinamiche orientaliste abbiano operato per cancellare una nazione dalla mappa politica e culturale.
L'autore applica la lente dell'analisi discorsiva alla questione israelo-palestinese, sottolineando come il discorso occidentale, in particolare quello sionista, abbia costruito la Palestina e i suoi abitanti, cancellando la narrazione palestinese.
Said sostiene che il sionismo, pur presentandosi come un movimento di liberazione nazionale per il popolo ebraico, ha agito come un movimento coloniale europeo che ha proiettato sulla Palestina tropi orientalisti classici.
Lo slogan "Una terra senza popolo per un popolo senza terra" è l'esempio più lampante di questa logica: per far posto alla narrazione sionista, la presenza, la storia e la cultura del popolo palestinese dovevano essere negate o ridotte a un ostacolo primitivo da superare.
I palestinesi, nel discorso dominante, vengono rappresentati non come un popolo con un legittimo diritto all'autodeterminazione, ma come nomadi, terroristi o, nel migliore dei casi, come un problema umanitario.
Said analizza come i media, il mondo accademico e i governi occidentali abbiano sistematicamente negato ai palestinesi il "permesso di narrare" la propria storia.
Quello di Said è un atto di "rivendicazione narrativa": vuole raccontare la storia dal punto di vista palestinese, affermandone l'esistenza e la legittimità.
L'autore formula inoltre un appello alla giustizia basato sul "riconoscimento reciproco".
Said non nega la sofferenza ebraica né il legame del popolo ebraico con quella terra, ma insiste sul fatto che la giustizia per un popolo non può essere costruita sull'ingiustizia e la cancellazione di un altro.
La sua prospettiva politica è quella di una soluzione che riconosca i diritti nazionali di entrambi i popoli, basata sulla coesistenza e sulla fine dell'occupazione e dell'esclusione.

Mappa Globale 

Said espande la sua analisi geograficamente (dall'Impero Ottomano all'Africa, all'India, ai Caraibi) e metodologicamente, introducendo il suo concetto più innovativo e duraturo di critica letteraria: la "lettura contrappuntistica".
Ispirata alla musica, questa metodologia critica consiste nel leggere i grandi capolavori della cultura occidentale (come i romanzi di Jane Austen, Joseph Conrad o Albert Camus) prestando attenzione simultaneamente a ciò che viene detto e a ciò che viene taciuto.
Si tratta di leggere la narrazione metropolitana tenendo sempre presente, come un controcanto, la realtà imperiale che la sostiene e la rende possibile, anche quando questa non è esplicitamente menzionata.
Per Said l'imperialismo non fu un'attività marginale per nazioni come la Gran Bretagna e la Francia, ma un'impresa centrale che strutturò la loro economia, la loro politica e, soprattutto, la loro cultura.
L'autore dimostra come in romanzi apparentemente "domestici", l'impero non sia lo sfondo, ma la condizione di possibilità della storia.
Said analizza come la cultura metropolitana sia intrisa di imperialismo, per esplorare poi come i popoli colonizzati abbiano risposto a questo dominio culturale.
Said analizza il fenomeno del "viaggio di ritorno", in cui intellettuali e artisti colonizzati (come C.L.R. James, Aimé Césaire, Frantz Fanon) si riappropriano della lingua e delle forme culturali del colonizzatore (in particolare il romanzo) per "scrivere contro l'impero", affermando la propria storia e la propria identità.
Said intende superare le narrazioni nazionaliste, riconoscendo quanto le storie di colonizzatori e colonizzati siano "inestricabilmente intrecciate".
L'autore auspica una comprensione globale della storia che non celebri né l'imperialismo né i nazionalismi reattivi.
Il suo obiettivo finale è la formulazione di un "nuovo umanesimo", non più eurocentrico e gerarchico, ma genuinamente universale e liberatorio, capace di riconoscere e rispettare le interdipendenze e le connessioni che legano l'umanità intera in un'unica, complessa storia condivisa.
La sua eredità è immensa: Edward Said ha insegnato a generazioni di studiosi e attivisti a leggere la cultura non come una sfera autonoma e innocente, ma come un campo di battaglia in cui si definiscono identità, si legittima il potere e si combattono lotte per la liberazione.
La sua opera è un potente monito sulla responsabilità etica dell'intellettuale e un instancabile appello a un mondo in cui nessuna cultura o popolo abbia il monopolio della narrazione e della verità.


Edward Said: "Orientalismo" (1978);

Edward Said: "La questione palestinese" (1979);

Edward Said: "Cultura e imperialismo" (1993).


Commenti