Sfidare l'egemonia dello sviluppo: Orizzonti Pluriversali nell'ecologia politica.

di socialclimatejustice.blogspot.com

L'idea di "sviluppo", emersa nel secondo dopoguerra come paradigma universale per il progresso umano, è oggetto di una profonda critica epistemologica, ecologica e sociale.
La sua promessa di "prosperità per tutti" si è infranta contro i limiti biofisici del pianeta, perpetuando dinamiche di potere neocoloniali, esacerbando le disuguaglianze e sradicando innumerevoli culture locali.
In risposta a questo fallimento, due campi di indagine e prassi politica si sono rivelati particolarmente fecondi: la "critica allo sviluppo" (o post-sviluppo) e l'"ecologia politica".
La prima decostruisce lo sviluppo come "discorso di potere eurocentrico", mentre la seconda analizza i "conflitti socio-ambientali" come arene in cui si scontrano diverse visioni del mondo e interessi materiali.
Una serie di critiche radicali al modello di sviluppo capitalista, patriarcale e industrialista, che convergono nella ricerca di alternative fondate sulla giustizia ecologica e sociale; da esse emerge un orizzonte comune: il "Pluriverso", un mondo in cui molti mondi possano coesistere.

La Decostruzione dello Sviluppo e la "Politica del Luogo"

L'antropologo colombiano Arturo Escobar ha introdotto un approccio post-strutturalista nella critica allo sviluppo.
Attraverso un'analisi foucaultiana, l'autore analizza lo sviluppo non come un processo naturale di progresso, ma come un "discorso", dimostrando come, a partire dal 1945, un apparato di istituzioni (Banca Mondiale, FMI), saperi (l'economia dello sviluppo) e pratiche abbia "inventato il "Terzo Mondo" come un insieme di problemi (povertà, analfabetismo, sovrappopolazione) da risolvere attraverso l'intervento tecnico ed economico dell'Occidente.
Escobar descrive lo sviluppo come un "meccanismo di potere" che opera attraverso la professionalizzazione (la creazione di "esperti" di sviluppo), l'istituzionalizzazione e la produzione di conoscenza, depoliticizzando la povertà e l'ingiustizia e presentandole come questioni meramente tecniche.
La conseguenza è stata la disintegrazione delle economie vernacolari e dei legami comunitari, nonché l'imposizione di un modello unico basato sulla crescita economica infinita.
La prospettiva politica di Escobar non si ferma alla decostruzione, negli ultimi anni, il suo lavoro si è concentrato sulle "alternative allo sviluppo" che emergono dalle lotte dei movimenti sociali, in particolare in America Latina.
L'antropologo ha posto l'accento sulla "difesa del territorio e del luogo" (place-based politics) come fondamento per la costruzione di autonomie e la riattivazione di saperi ancestrali e pratiche non capitaliste.
Il suo concetto di "disegni autonomi" (autonomous design) suggerisce che le comunità possono e devono progettare le proprie transizioni verso futuri post-sviluppisti.
Questo si collega direttamente alla sua adozione del concetto zapatista di Pluriverso: un progetto politico globale che non cerca un'unica alternativa universale, ma piuttosto la creazione delle condizioni necessarie all'emergere di una molteplicità di mondi socio-ecologici che possano fiorire.

Ecofemminismo, lavoro Meta-Industriale e "Materialismo Incarnato"

La sociologa e attivista australiana Ariel Salleh offre una critica fondamentale che intreccia ecologia, femminismo e marxismo, identificando nel patriarcato capitalista la radice comune della dominazione sulla natura e sulle donne.
Il suo quadro teorico si fonda sul concetto di "materialismo incarnato" (embodied materialism), che si oppone al dualismo cartesiano che separa mente e corpo, cultura e natura, uomo e donna.
Salleh sostiene che questo dualismo è alla base di un ordine simbolico che svaluta e rende invisibile il "lavoro rigenerativo (di cura), sia quello degli ecosistemi che quello storicamente assegnato alle donne (cura, riproduzione, agricoltura di sussistenza).
Un aspetto chiave del suo pensiero è la critica al "lavoro meta-industriale".
Salleh argomenta che l'economia capitalista (e anche la critica marxista tradizionale, concentrata sul lavoro salariato in fabbrica) dipenda strutturalmente da un vasto "continente sommerso di lavoro non retribuito" che riproduce la vita e la natura.
Questo lavoro, che lei definisce meta-industriale, è la "condizione di possibilità dell'accumulazione capitalista", ma viene sistematicamente sfruttato e ignorato.
La crisi ecologica, per Salleh, è la conseguenza diretta del tentativo del capitale di superare i limiti di questo lavoro rigenerativo, trattando la Terra e i corpi delle donne come risorse infinite da sfruttare.
La politica ecofemminista e socialista di Salleh mette al centro l'etica della cura e della responsabilità, l'autrice propone una "logica del sostentamento" che riconosca e valorizzi il lavoro meta-industriale, promuovendo economie localizzate, tecnologie appropriate e forme di democrazia diretta: una transizione guidata dai saperi e dalle pratiche di coloro che sono stati in prima linea nella riproduzione della vita – donne, popoli indigeni, contadini – e che incarnano una conoscenza ecologica profonda e non alienata.

Democrazia Ecologica Radicale

Radicato nelle lotte dei movimenti sociali e ambientali indiani, l'attivista e intellettuale Ashish Kothari articola una delle visioni più complete e praticabili di un futuro post-sviluppo: la "Democrazia Ecologica Radicale" (Radical Ecological Democracy), un modello olistico basato su cinque pilastri interconnessi.
Democrazia diretta: sovranità locale e potere decisionale restituito alle comunità.
Sostenibilità ecologica: rispetto dei limiti planetari e protezione della biodiversità.
Giustizia sociale ed equità: smantellamento delle gerarchie di genere, casta, classe e religione.
Sovranità economica: controllo comunitario sulle risorse e sui mezzi di produzione, promuovendo economie localizzate e non monetarie.
Diversità culturale: valorizzazione dei saperi tradizionali e delle diverse visioni del mondo.
Dal Buen Vivir (andino) all'Ubuntu (africano), fino alla "Decrescita" (europea), Kothari dimostra che le alternative esistono e non devono essere inventate da zero, piuttosto vanno riconosciute, rafforzate e messe in rete.
A tal fine l'autore propone un "processo di confluenza" in cui movimenti sociali, comunità locali e iniziative dal basso possano convergere per creare un fronte unito contro le forze distruttive della globalizzazione capitalista.
La sua visione non è quella di un'"unica rivoluzione", ma di una miriade di trasformazioni radicali radicate nei contesti locali, che insieme tessono la trama di un mondo pluralista e sostenibile.

La Decrescita come "Progetto politico per il Nord Globale"

L'economista ecologico Federico Demaria è una delle voci più influenti nel dibattito sulla "Decrescita" (degrowth).
Radicata nella critica all'economia ecologica e nell'ecologia politica, la Decrescita sfida il dogma secondo cui il benessere umano dipende dalla crescita perpetua del Prodotto Interno Lordo (PIL).
Demaria articola la Decrescita non come una recessione, ma come una "riduzione pianificata, equa e democratica della produzione e del consumo nei paesi del Nord globale".
Il modello teorico della Decrescita si basa su un'analisi del "metabolismo sociale": le società industriali consumano energia e materiali a un ritmo insostenibile, superando la capacità di carico degli ecosistemi.
La crescita economica è intrinsecamente legata a questo aumento del flusso metabolico e, nonostante le promesse di "crescita verde" o "decoupling" (disaccoppiamento), non è possibile disaccoppiare in modo assoluto la crescita del PIL dall'impatto ambientale su scala globale.
L'aspetto chiave della proposta di Demaria e del movimento per la Decrescita è la sua dimensione di "giustizia globale".
La riduzione dell'impronta ecologica del Nord è vista come una precondizione per liberare spazio ecologico, permettendo ai paesi del Sud di raggiungere un livello di vita dignitoso senza replicare il modello distruttivo occidentale.
Le prospettive politiche della decrescita sono concrete e includono: la riduzione dell'orario di lavoro e la ridistribuzione del lavoro esistente; l'introduzione di un reddito di base universale e di un salario massimo; la promozione di tecnologie conviviali (come le definiva Ivan Illich) e di beni comuni; l'abbandono di indicatori come il PIL a favore di misuratori di benessere reale.
La decrescita, quindi, non è solo una critica ecologica, ma un progetto per una profonda riorganizzazione della società in senso più equo, conviviale e democratico.

Il Buen Vivir e i Diritti della Natura

L'economista e politico ecuadoriano Alberto Acosta è stato una figura centrale nel portare il concetto indigeno di "Sumak Kawsay" (in Kichwa) o "Buen Vivir" (Vivere Bene) dal mondo accademico e attivista all'arena costituzionale.
Il "Buen Vivir" non è una teoria dello sviluppo, ma una filosofia di vita che propone un'"alternativa allo sviluppo", fondata su una visione del mondo relazionale in cui gli esseri umani non sono padroni della natura, ma parte di essa.
Il Buen Vivir rifiuta l'antropocentrismo occidentale e la separazione tra società e natura: il benessere non è definito dall'accumulazione di beni materiali, ma dalla "pienezza della vita in comunità e in armonia con la natura".
Questo implica un equilibrio tra le necessità materiali, sociali e spirituali degli individui e della collettività.
L'aspetto più rivoluzionario del contributo di Acosta è stato il suo ruolo come Presidente dell'Assemblea Costituente dell'Ecuador (2007-2008), che ha portato all'inclusione di due concetti trasformativi nella Costituzione del 2008: il "Buen Vivir" come principio guida dello Stato; e il "riconoscimento della Natura (Pacha Mama) come soggetto di diritti".
Per la prima volta in una costituzione nazionale, alla natura vengono riconosciuti il diritto all'esistenza, al mantenimento dei suoi cicli vitali e al restauro.
La prospettiva politica di Acosta è una "svolta biocentrica e comunitaria" che sostiene la necessità di una "transizione post-estrattivista", specialmente per i paesi la cui economia dipende dall'esportazione di materie prime.
La sua proposta politica invita a superare l'ossessione per la crescita economica e a costruire società basate sulla solidarietà, la complementarità e il profondo rispetto per tutte le forme di vita, aprendo la strada a un nuovo patto sociale ed ecologico.

Verso un Orizzonte Pluriversale

L'analisi di questi cinque pensatori rivela una potente convergenza.
Pur partendo da prospettive disciplinari e geografiche diverse — l'antropologia post-strutturalista (Escobar), l'ecofemminismo socialista (Salleh), l'attivismo dal basso (Kothari), l'economia ecologica (Demaria) e la filosofia politica indigena (Acosta) — tutti giungono a una diagnosi comune: "il paradigma dello sviluppo è un progetto coloniale, patriarcale, capitalista ed ecologicamente insostenibile", al quale è necessario opporre una "politica pluriversale".
Decolonizzando il sapere: per mettere in discussione l'universalismo del pensiero occidentale, valorizzando una pluralità di conoscenze, pratiche e visioni del mondo (Escobar, Acosta, Kothari).
Riconnettendo società e natura: superando il dualismo natura/cultura, e proponendo un'etica biocentrica (Acosta), un materialismo incarnato (Salleh) o un'economia che rispetti i limiti biofisici (Demaria).
Mettendo al centro la giustizia: perché la sostenibilità ecologica non può essere separata dalla giustizia sociale, di genere e globale.
La decrescita del Nord (Demaria) è la condizione per l'autodeterminazione del Sud (Escobar, Kothari), e la liberazione della natura è inseparabile da quella delle donne e dei gruppi subalterni (Salleh).
Radicando la politica nel locale: così che la trasformazione non venga imposta dall'alto, ma emerga dalla difesa dei territori, dalla democrazia diretta e dall'autonomia delle comunità (Kothari, Escobar).
In conclusione, l'opera di questi cinque autori non offre un nuovo modello unico per "sostituire lo sviluppo", poiché ciò significherebbe replicarne la logica totalizzante.
Al contrario, fornisce gli strumenti critici e le visioni politiche per coltivare il Pluriverso: un orizzonte in cui la difesa della vita, in tutta la sua diversità, diventi il fondamento di un mondo socialmente giusto ed ecologicamente saggio.
La loro opera è un invito a partecipare alla costruzione di questo mondo plurale, non come architetti di un futuro predefinito, ma come tessitori di una rete globale di alternative locali.



Arturo Escobar: "Encountering Development: The Making and Unmaking of the Third World"; 

Ariel Salleh: "Ecofeminism as politics";

Ashish Kothari: "Pluriverse: A Post-Development Dictionary" (co-editore);

Federico Demaria: "Degrowth: A Vocabulary for a New Era; (co-editore);

Alberto Acosta : "Le Buen Vivir".


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