di socialclimatejustice.blogspot.com
Questo saggio analizza tre opere fondamentali nel panorama contemporaneo degli studi sui beni comuni.
La possibilità istituzionale dei Commons
L'analisi comparata di queste opere permette di tracciare una traiettoria intellettuale e politica: dall'analisi istituzionale di Elinor Ostrom, che dimostra la possibilità di una gestione collettiva efficace (sfidando la "tragedia dei comuni"); attraverso la ricostruzione storica di Peter Linebaugh, che inquadra i comuni come terreno di conflitto (e di espropriazione originaria); fino alla proposta ontologico-politica di Massimo De Angelis, che vede nel commoning il fondamento per un superamento del capitalismo.
L'opera di Elinor Ostrom, "Governing the Commons" premiata nel 2009 con il Nobel per l'Economia, rappresenta una pietra miliare e un punto di partenza imprescindibile.
Il suo lavoro si inserisce in un preciso dibattito accademico, nato in risposta al celebre saggio di Garrett Hardin, "The Tragedy of the Commons" (1968).
Il quadro teorico di Ostrom è quello dell'"economia istituzionale" (e della "teoria della scelta razionale", sebbene in una versione "limitata" o "comportamentale").
La sua domanda centrale non è "se" i comuni siano desiderabili, ma "come" possano funzionare empiricamente.
Ostrom contesta la tesi di Hardin, secondo cui gli individui che condividono una risorsa limitata (il common) sono inevitabilmente portati a sovrasfruttarla (la tragedia), conducendo alla sua distruzione.
Hardin proponeva solo due soluzioni: la "privatizzazione" (gestione privata) o la "statalizzazione" (gestione pubblica).
L'innovazione di Ostrom risiede nella sua meticolosa analisi empirica.
Studiando centinaia di casi concreti in tutto il mondo (sistemi di irrigazione in Spagna, foreste in Giappone, pascoli in Svizzera), ella dimostra che la "tragedia" non è inevitabile.
La sua critica fondamentale a Hardin è terminologica e concettuale: Hardin confonde i "beni comuni (commons)", che sono caratterizzati da un regime di "proprietà comune" e da regole di accesso e gestione, con le "risorse ad accesso aperto (open-access)", che sono invece prive di qualsiasi regola (la "res nullius").
L'elemento chiave dell'analisi di Ostrom è la definizione dei "Common-Pool Resources (CPRs)", o "risorse a pool comune".
Questi beni sono definiti da due caratteristiche.
Elevata difficoltà di esclusione: è difficile o costoso impedire a qualcuno di utilizzare la risorsa (es. un lago, l'atmosfera).
Elevata sottraibilità (rivalità) nel consumo: l'uso della risorsa da parte di un individuo riduce la quantità disponibile per gli altri (es. un pesce pescato non può essere pescato da altri).
Il cuore di "Governing the Commons" risiede nell'identificazione di otto "princìpi di progettazione" che caratterizzano le istituzioni di CPR gestite con successo e in modo duraturo dalle comunità locali.
Confini chiaramente definiti: (sia della risorsa che della comunità di utenti).
Congruenza: tra le regole di appropriazione/prelievo e le condizioni locali.
Meccanismi di partecipazione collettiva: (gli utenti possono modificare le regole).
Monitoraggio: efficace e condiviso.
Sanzioni graduali: (per chi viola le regole).
Meccanismi di risoluzione dei conflitti: condivisi e a basso costo.
Riconoscimento minimo: dei diritti di autogoverno da parte delle autorità esterne.
La prospettiva politica di Ostrom è pragmatica e policentrica.
Non è né capitalista (rifiuta la privatizzazione come unica soluzione) né statalista (rifiuta la centralizzazione statale).
La sua è una difesa radicale dell'autogoverno (self-governance) e della capacità delle comunità di creare istituzioni resilienti "dal basso".
L'analisi di Ostrom si concentra sulla "gestione efficiente" di risorse esistenti (spesso naturali e su piccola scala), ma non interroga i processi di potere, l'accumulazione capitalistica o le dinamiche di espropriazione che hanno creato la scarsità o che hanno distrutto i comuni storici.
La storia svelata della sottrazione
Se Ostrom ci dice "come" i comuni possono funzionare, Peter Linebaugh ci dice "perché" sono stati distrutti e "chi" ne porta la responsabilità.
Il suo "The Magna Carta Manifesto" sposta l'analisi dal piano istituzionale a quello della storia sociale e del conflitto di classe.
Linebaugh è uno storico marxista, erede della tradizione della "storia dal basso" (come E.P. Thompson).
Il suo quadro teorico è dunque quello di un marxismo "eterodosso" e della critica all'accumulazione originaria.
La sua metodologia è storiografica, ma intesa come un atto politico.
L'autore opera una rilettura radicale del documento fondativo della tradizione liberale anglosassone: la "Magna Carta" del 1215.
Linebaugh sostiene che la nostra interpretazione moderna della Carta sia monca.
Ci siamo concentrati sui diritti individuali e sulle libertà dei baroni contro il Re (es. "habeas corpus"), dimenticando il suo documento gemello, la "Carta della Foresta" (Charter of the Forest) del 1217.
Mentre la Magna Carta si occupava delle libertà individuali, la Carta della Foresta proteggeva i "diritti consuetudinari collettivi dei commoners" (la gente comune) all'interno delle foreste reali (che allora coprivano vaste aree dell'Inghilterra).
Questi non erano diritti di proprietà, ma diritti di sussistenza: il diritto di "pascolo" (per gli animali), di "pannaggio" (far mangiare i maiali), di "estoverio" (raccogliere legna morta), di "turbary" (estrarre torba) e di "spigolatura".
Per Linebaugh, questi diritti comuni erano fondamentali per l'autonomia e la riproduzione sociale delle classi subalterne.
La storia del capitalismo, secondo Linebaugh, è la storia della violenta abolizione di questi diritti.
Il processo delle "enclosures" (recinzioni), descritto da Marx nell'accumulazione originaria, non fu solo l'espropriazione della terra, ma l'annichilimento di questo universo giuridico e sociale consuetudinario.
La proprietà privata moderna non nasce da un contratto, ma da un furto legalizzato (ciò che Linebaugh, citando il '700, chiama "kleptocrazia").
Per Linebaugh, e la sua "politica della memoria e della resistenza", recuperare la storia della Carta della Foresta significa recuperare una tradizione perduta di lotta per i Comuni.
I Comuni, per Linebaugh, non sono solo "risorse" (come in Ostrom), ma l'oggetto di un antagonismo secolare tra "commoners" ed "enclosers".
La sua prospettiva è intrinsecamente conflittuale.
Se Ostrom vede la possibilità di una gestione armonica, Linebaugh vede la storia come una "lotta di classe per, contro e attraverso i comuni".
Il suo manifesto politico non è la gestione efficiente, ma la "riappropriazione" e la rivendicazione di ciò che è stato rubato.
L'autore estende il concetto di "enclosure" al presente: i brevetti sulla vita (biopirateria), la privatizzazione dell'acqua, la recinzione del web sono le "nuove recinzioni" che continuano l'opera dell'accumulazione originaria.
Il Comune come superamento del Capitale
Massimo De Angelis, con "Omnia Sunt Communia", porta il dibattito su un piano ulteriore: quello "ontologico e strategico".
Partendo dalle intuizioni di Ostrom (l'autogoverno è possibile) e dalla radicalità storica di Linebaugh (i comuni sono un terreno di lotta), De Angelis costruisce un quadro teorico per comprendere i comuni come la base per una "società post-capitalista".
Il lavoro teorico di De Angelis di muove nel solco del "marxismo autonomista (operaista)", filtrato attraverso una profonda riflessione sulla crisi ecologica e sulla produzione immateriale.
Il suo approccio non è né puramente empirico (come Ostrom) né puramente storico (come Linebaugh), ma teoretico e politico.
La tesi centrale di De Angelis è che il capitale, per funzionare, dipende strutturalmente da una vasta gamma di "comuni" che esso non produce, ma che costantemente "sfrutta e recinta".
Questi comuni non sono solo risorse naturali (acqua, terra), ma molto di più.
Comuni sociali: la cooperazione sociale, le reti di cura e affetto (lavoro riproduttivo, spesso femminile).
Comuni della conoscenza: il sapere collettivo, i linguaggi, i codici software (es. Linux).
Comuni urbani: gli spazi pubblici, la cultura.
Il capitalismo, per De Angelis, è un sistema che "sussume" questi comuni, li trasforma in merci (es. l'acqua in bottiglia, il software in licenza) e ne impone una logica di scarsità e valore.
L'elemento chiave più potente dell'analisi di De Angelis è la definizione del comune come un processo sociale dinamico.
L'autore definisce il comune attraverso una "triade relazionale".
Le risorse comuni (commons): il "pool" di risorse (materiali o immateriali).
I commoners: la comunità che condivide, produce e gestisce quelle risorse.
Il commoning (fare-comune): questo è l'elemento cruciale.
È l'attività sociale, l'insieme di pratiche, relazioni, lotte e istituzioni attraverso cui i "commoners" gestiscono e (ri)producono i loro "commons".
Il Comune non è un "dato", ma un "fatto": un processo continuo di produzione sociale.
Il "commoning" è intrinsecamente politico perché deve costantemente difendersi dalle "enclosures capitalistiche".
De Angelis articola la tensione tra
"Commoning" (il fare-comune) e "Capitaling" (il fare-capitale).
La società attuale è un campo di battaglia tra queste due logiche: la logica del comune (basata sul valore d'uso, la condivisione, la cura) e la logica del capitale (basata sul valore di scambio, l'accumulazione, la mercificazione).
La prospettiva politica di De Angelis è una "strategia di esodo e trasformazione".
L'autore propone il "commoning" come la pratica concreta per costruire un'alternativa al capitalismo.
La sua non è una politica di conquista dello Stato (come nel marxismo tradizionale), né una semplice gestione locale (come in Ostrom).
È una politica di "moltiplicazione dei comuni": creare spazi, istituzioni e relazioni sociali che si sottraggono, per quanto possibile, alla logica del profitto e del salario.
Il "Comune" diventa un principio ontologico, la base per una nuova "economia politica del comune" che sfida la dicotomia soffocante tra Stato e Mercato.
La prospettiva è quella di una transizione dove l'espansione delle pratiche di "commoning" (dalle fabbriche recuperate ai social center, dal software open-source alle reti di agricoltura comunitaria) erode progressivamente lo spazio di riproduzione del capitale.
Tre lenti per un unico orizzonte
Sebbene tutti e tre gli autori pongano "il comune" al centro della loro indagine, essi lo fanno da prospettive epistemologiche, metodologiche e politiche radicalmente diverse.
La lettura congiunta di Ostrom, Linebaugh e De Angelis offre una comprensione straordinariamente ricca e multidimensionale dei beni comuni.
Le loro opere non si escludono a vicenda, ma rappresentano tre "livelli" di analisi complementari.
Ostrom (Il Come): fornisce la "cassetta degli attrezzi" istituzionale.
Ci dimostra che l'autogoverno non è un'utopia, ma una prassi codificabile.
Il suo lavoro è essenziale per la sostenibilità di qualsiasi comune.
Linebaugh (Il Perché): fornisce la profondità storica e la coscienza dell'antagonismo.
Ci ricorda che i comuni non sono un pacifico esercizio di gestione, ma il risultato di una lotta secolare contro l'espropriazione (enclosure).
Il suo lavoro smaschera l'origine violenta della proprietà privata.
De Angelis (Il Dunque): fornisce la visione strategica e ontologica.
Unisce la possibilità istituzionale di Ostrom e il conflitto storico di Linebaugh in un progetto politico per il presente.
Trasforma il comune da "oggetto da gestire" o "passato da difendere" a "verbo da praticare" (commoning) come orizzonte post-capitalista.
Nell'attuale congiuntura di crisi ecologica, disuguaglianza neoliberale e nuove recinzioni digitali, il dibattito sui comuni è forse il terreno più fertile per ripensare l'economia, la politica e la società.
Elinor Ostrom: "Governing the Commons";
Peter Linebaugh: "The Magna Carta Manifesto";
Massimo De Angelis: "Omnia Sunt Communia".
Commenti
Posta un commento