Cosmopolitiche e Pluriversi.

di socialclimatejustice.blogspot.com

Nel panorama contemporaneo dell'antropologia e della teoria postcoloniale, le etnografie radicate nei mondi indigeni delle Americhe sfidano il presupposto di un'unica realtà universale (il "mondo unico" della modernità occidentale) per proporre l'esistenza di una molteplicità di mondi, o "pluriverso".
Questi lavori non si limitano a descrivere cosmologie "altre", ma ne esplorano le implicazioni ontologiche e politiche, offrendo strumenti cruciali per immaginare futuri decoloniali ed ecologicamente giusti.

"Politica Ontologica" e Decolonizzazione del Sapere

La cosiddetta "svolta ontologica" in antropologia critica la distinzione moderna e occidentale tra "Natura" (un dominio oggettivo, universale e governato da leggi scientifiche) e "Cultura" (il regno delle credenze, dei simboli e delle rappresentazioni umane).
Tale dicotomia non è un dato di fatto universale, ma il prodotto di una specifica traiettoria storica e filosofica che ha legittimato il progetto coloniale, relegando le concezioni indigene del mondo a mere "credenze" o "metafore" di fronte alla "realtà" descritta dalla scienza.
I conflitti ambientali non sono semplici disaccordi su come gestire una natura unica e condivisa, ma veri e propri scontri tra mondi differenti che pongono in essere realtà diverse.
Mentre lo Stato e le ONG ambientaliste vedono la foresta come una risorsa da proteggere o sfruttare (un oggetto della politica), per molte popolazioni indigene la foresta è un'intricata rete di relazioni tra esseri senzienti, umani e non-umani, un "soggetto" con cui si deve negoziare.
La politica, quindi, non riguarda solo le decisioni umane, ma la stessa composizione della realtà.
Il concetto di "cosmopolitica" si riferisce proprio alla pratica politica che emerge quando entità rifiutate dalla modernità (come le montagne, la terra, gli spiriti) fanno irruzione nell'arena pubblica, sfidando la separazione tra politica e natura.
Per le popolazioni andine, una montagna non è un simbolo o una metafora della divinità; "è un essere senziente": un attore politico con cui intrattenere relazioni di reciprocità.
Ignorare questa realtà non è un errore di rappresentazione, ma un atto di violenza ontologica che porta a conseguenze ecologiche e sociali devastanti.
Prendere sul serio i mondi indigeni significa accettare che le loro pratiche e le loro affermazioni non sono "credenze su" una realtà, ma modi di "porre in essere" realtà differenti.

Pratiche, Relazioni e Mondi Eterogenei

Alcuni concetti chiave illuminano le modalità con cui questi "altri mondi" vengono costantemente creati e mantenuti.
Seres-Tierra ed Eterogeneità Radicale: i "seres-tierra" sono esseri che sfidano ogni facile categorizzazione.
Non sono né puramente "natura" né puramente "cultura", né dei né umani. Esistono in una forma di relazionalità costante con gli indigeni e con il paesaggio.
La loro esistenza è contingente e dipende dalle pratiche quotidiane – rituali, conversazioni, offerte – che li mantengono presenti e attivi nel mondo.
Una "eterogeneità radicale" che descrive l'impossibilità di tradurre completamente questi esseri nelle categorie analitiche occidentali senza annullarne la specificità.
La loro esistenza è una sfida diretta all'ontologia moderna che separa nettamente soggetto e oggetto, umano e non-umano.
Il concetto di "pluriverso" è un'alternativa al progetto di un "universo" o "mondo unico".
Il pluriverso non è una semplice collezione di diverse prospettive culturali su un'unica realtà, ma un assemblaggio di mondi multipli e interconnessi, ognuno con la propria ontologia.
La politica del pluriverso non mira a trovare un consenso universale, che inevitabilmente imporrebbe le categorie di un mondo (quello moderno) su tutti gli altri.
Al contrario, mira a creare le condizioni per una "diplomazia cosmopolitica", un processo di negoziazione e traduzione parziale tra mondi che non presuppone un terreno comune preesistente.
L'obiettivo non è l'unità, ma la coesistenza rispettosa delle differenze ontologiche.

Le Pratiche e le "Ecologie di Pratica"

Un mondo non è un sistema di credenze astratte, ma qualcosa che viene costantemente "fatto" e "rifatto" attraverso le interazioni quotidiane.
Ad esempio, il legame tra un contadino e la sua "pachamama" (madre terra) non è metaforico; si realizza nell'atto di coltivare, di offrire foglie di coca, di "conversare" con la terra.
Queste pratiche sono la sostanza stessa del mondo andino.
Analogamente, le pratiche di caccia e narrazione dei popoli indigeni non "rappresentano" il loro mondo, ma lo portano all'esistenza.

Verso una "Giustizia Ontologica"

Le implicazioni politiche vanno ben oltre le tradizionali politiche del multiculturalismo o del riconoscimento.
Il multiculturalismo liberale, nella sua forma classica, si basa sulla tolleranza delle "diverse culture" all'interno di un'unica cornice naturale e politica (lo Stato-nazione, l'economia di mercato, la scienza universale).
Questo modello è insufficiente e, in ultima analisi, coloniale: esso concede spazio alle "credenze indigene" finché queste non mettono in discussione i fondamenti ontologici della modernità.
Ad esempio, una comunità può essere autorizzata a celebrare un rituale per la montagna, ma quando quella stessa montagna è minacciata da un progetto minerario, la sua esistenza come "essere vivente" viene negata in tribunale, dove solo le prove scientifiche e i diritti di proprietà hanno validità.
La prospettiva è quella di una "giustizia ontologica" o di una "autodeterminazione ontologica".
Non si tratta solo di riconoscere i diritti culturali, ma di creare spazi politici e legali in cui la realtà stessa possa essere oggetto di dibattito, con tutto ciò che questo implica.
Sfidare l'Autorità della Scienza: non si tratta di un rifiuto della scienza in sé, ma di una critica al suo monopolio sulla definizione della realtà.
La scienza diventa una delle tante voci in un dialogo cosmopolitico, potente e utile, ma non l'unica arbitra della verità.
Creare Istituzioni Pluriversali: la politica deve aprirsi a forme di rappresentanza che includano i non-umani.
Questo significa sviluppare procedure – come suggerito dalle pratiche indigene – per "ascoltare" e negoziare con i molteplici esseri che compongono un territorio.
Riformulare i Conflitti Ambientali: i conflitti su miniere, dighe o deforestazione non sono solo questioni tecniche o economiche, ma arene di scontro ontologico.
Riconoscerlo permette di comprendere la vera posta in gioco per le comunità indigene: non solo la difesa del loro ambiente, ma la sopravvivenza stessa del loro mondo.
L'idea di un mondo unico, governato da una sola Natura e conosciuto da una sola Scienza, non è solo una finzione, ma uno strumento di potere che continua a marginalizzare e distruggere innumerevoli altri modi di esistere.
La proposta di un "pluriverso" non è un invito al relativismo assoluto, ma una chiamata a un compito politico difficile e urgente: quello di imparare a coesistere senza la necessità di un fondamento comune universale.
In un'epoca di crisi ecologica e di crescenti disuguaglianze, occorre ripensare e praticare una politica che sia veramente capace di accogliere la molteplicità dei mondi che abitano questo pianeta.
La decolonizzazione non è solo una questione di restituire terre o diritti, ma di restituire la dignità di realtà ai mondi che la modernità ha cercato di cancellare.


Marisol de la Cadena: "Earth Beings: Ecologies of Practice across Andean Worlds";

Mario Blaser: "A World of Many Worlds".


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