La Città come campo di battaglia socio-ecologico.

di socialclimatejustice.blogspot.com

L'ambiente urbano non è un semplice contenitore passivo per l'azione umana, né un'entità puramente ecologica, ma un "costrutto socio-naturale ibrido".
È il prodotto di processi politici, economici e culturali che mediano le relazioni metaboliche tra società e natura.
L'aria che respiriamo, l'acqua che beviamo, i parchi in cui camminiamo e i rifiuti che produciamo non sono "dati" naturali, ma l'esito di lotte di potere, flussi di capitale e decisioni politiche.
Lo spazio (e la natura al suo interno) viene prodotto in modo ineguale, con conseguenze materiali che mostrano tutta la vulnerabilita' di questi "sistemi socio-ecologici". 

La produzione dello spazio (e della Natura) urbana

Il filosofo e sociologo Henri Lefebvre afferma che lo spazio è un "prodotto sociale" attivamente costruito e conteso, così come la "natura urbana" che vi è inscritta.
Lefebvre articola la produzione dello spazio attraverso la sua celebre "triade spaziale".
Pratiche Spaziali (spazio percepito): questo è lo spazio della vita quotidiana, dei flussi materiali, delle infrastrutture.
È il livello del "metabolismo urbano", dei flussi di acqua, energia, cibo, materiali e rifiuti; lo spazio fisico delle tubature, delle reti elettriche, delle discariche.
È la "pratica quotidiana" che riproduce l'ibrido socio-naturale.
Rappresentazioni dello Spazio (spazio concepito): questo è lo "spazio dei pianificatori"; lo spazio astratto, scientifico e burocratico del capitalismo e dello Stato.
È il dominio degli urbanisti, degli ingegneri, degli architetti e dei capitalisti immobiliari.
Questo spazio si traduce nelle "narrazioni dominanti sulla natura urbana", nei masterplan per i parchi, le zonizzazioni ambientali, i modelli di "città sostenibile" o "smart city".
Spesso, queste rappresentazioni mascherano le relazioni di potere, presentando soluzioni tecniche (es. un nuovo impianto di depurazione) a problemi che sono intrinsecamente politici (es. chi ha accesso all'acqua pulita).
Spazi di Rappresentazione (spazio vissuto): questo è lo spazio dell'esperienza vissuta, dei simboli, dei significati e, crucialmente, della "resistenza".
È lo spazio dei cittadini, degli artisti e dei movimenti sociali; il sito della contestazione.
È l'orto comunitario che ri-significa un lotto abbandonato, è la protesta contro una discarica tossica, è l'uso "deviante" di un parco pubblico.
Lefebvre espone due concetti politici fondamentali.
La critica allo spazio astratto del capitalismo: questo spazio tende a omogeneizzare, frammentare e mercificare tutto, inclusa la natura.
I fiumi vengono cementificati e trasformati in canali (spazio concepito) per facilitare il commercio (pratica spaziale), distruggendo il loro significato vissuto (spazio di rappresentazione).
Il Diritto alla Città: Lefebvre non intende questo come un semplice diritto di accesso ai servizi urbani esistenti, ma come un diritto trasformativo e radicale; il diritto dei cittadini di "partecipare attivamente alla produzione dello spazio urbano".
Un "Diritto alla Natura Urbana"; il diritto di definire, creare e controllare collettivamente i processi socio-ecologici della città.
Non solo il diritto a un parco, ma il diritto di decidere "quale tipo" di parco, per "chi" e "come" viene gestito, sottraendolo alla logica del profitto e della pianificazione tecnocratica.

Capitale, contraddizioni e giustizia Socio-Spaziale

Il geografo David Harvey fornisce l'analisi materialista storica delle "forza motrice" dietro la produzione dello spazio: il capitalismo.
Harvey, applicando l'analisi marxista alla geografia, svela come la forma urbana sia una manifestazione diretta delle contraddizioni intrinseche all'accumulazione di capitale, ponendo le basi per comprendere l'"ingiustizia ambientale urbana".
L'autore analizza la città come un prodotto della circolazione del capitale.
Il capitale, per evitare crisi di sovra-accumulazione, necessita di uno "spatial fix" (una "soluzione spaziale"): deve investire in nuovi spazi, infrastrutture e nel "secondo circuito del capitale" (l'ambiente costruito).
La città non è solo un agglomerato di edifici, ma un gigantesco "sistema metabolico" che, per sostenere l'accumulazione, deve continuamente "ingerire" natura (acqua, energia, materie prime) ed "espellere" rifiuti (inquinamento, acque reflue).
Harvey ci mostra che questo processo metabolico non è "neutrale".
L'elemento chiave esposto da Harvey è il concetto di "sviluppo geografico ineguale".
Il capitalismo "produce attivamente l'ineguaglianza spaziale" perché è funzionale alla sua sopravvivenza.
La creazione di valore in una parte della città (es. gentrificazione, quartieri residenziali di lusso) dipende spesso dalla svalutazione o dall'esternalizzazione dei costi in un'altra.
Non è un caso che le industrie inquinanti, le discariche e le autostrade si trovino prevalentemente in quartieri poveri, operai e razzializzati.
Questa non è una sfortunata conseguenza dello sviluppo, ma una sua "condizione necessaria".
È l'esternalizzazione dei costi ecologici (l'inquinamento) sui corpi più vulnerabili a proteggere il valore immobiliare e la qualità della vita (l'ecologia) delle aree privilegiate.
La prospettiva politica di Harvey è una chiamata a una giustizia sociale radicale, che non sia solo redistributiva (dare di più ai poveri) ma trasformativa (cambiare i processi che producono povertà): una lotta per la "giustizia ambientale".
Non basta piantare alberi nei quartieri poveri (una soluzione liberale); è necessario, in primo luogo, smantellare i processi capitalistici e razzisti (come l'accumulazione per espropriazione) che "causano l'inquinamento".
La lotta per l'ambiente urbano diventa, nell'ottica di Harvey, indistinguibile dalla lotta di classe.

Apocalisse urbana ed ecologia della paura

Lo storico Mike Davis demolisce l'idea che i disastri (terremoti, incendi, pandemie, inondazioni) siano "naturali".
L'autore dimostra, con un'analisi impietosa, come la vulnerabilità ai disastri sia "prodotta socialmente" da logiche di profitto e segregazione spaziale.
Davis analizza come la pianificazione urbana neoliberale, ossessionata da "sicurezza per i ricchi e abbandono per i poveri", crei delle bombe a orologeria ecologiche.
Lo storico scrive di Los Angeles, dove i ricchi costruiscono ville in canyon soggetti a incendi, privatizzando la protezione antincendio, mentre i poveri sono ammassati in quartieri di cemento senza spazi verdi, più vulnerabili alle ondate di calore, o in pianure alluvionali.
L'elemento chiave esposto da Davis è la "segregazione socio-ecologica".
Gli "inferni metropolitani" non sono solo luoghi di povertà economica, ma di povertà ecologica: aria irrespirabile, acqua contaminata, assenza di biodiversità, esposizione a rischi tossici.
Davis descrive la città come un campo di battaglia ecologico dove la borghesia si ritira in "enclave fortificate" (le gated communities) che non sono solo socialmente, ma anche ecologicamente, isolate dal resto della città, di cui sfruttano le risorse e su cui scaricano i rifiuti.
Il suo lavoro mostra come l'urbanistica e l'architettura diventino armi in questa guerra: i sistemi di sicurezza, le barriere e la "difesa dello spazio" (come nell'architettura ostile) non servono solo a tenere fuori i poveri, ma a gestire e controllare i flussi metabolici a vantaggio di pochi.
Davis mostra il fallimento del progetto urbano liberale e la brutalità di quello neoliberale.
Tuttavia, tra le righe dei suoi "inferni", emerge una politica di "resistenza dal basso".
I residenti delle periferie tossiche non sono infatti solo vittime passive ma attori che, nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza (per l'acqua pulita, per un tetto, per l'aria respirabile), praticano una forma di ecologia politica vernacolare.
La vera "sostenibilità" o "resilienza" non verrà dalle torri d'avorio dei pianificatori ma dalle pratiche di mutuo soccorso e di lotta di coloro che abitano l'ecologia del disastro.

Verso un'ecologia politica urbana 

L'analisi di questi tre testi fondamentali rivela come l'Ecologia Politica Urbana sia intrinsecamente un progetto critico e radicale.
Lefebvre, Harvey e Davis, insieme, forniscono una genealogia intellettuale potente per smascherare le attuali retoriche della "città verde" e della "sostenibilità manageriale".
Lefebvre insegna che l'ambiente urbano non è dato, ma prodotto e contestato.
L'autore fornisce la grammatica per leggere la città come un "testo socio-ecologico".
Harvey fornisce il motore di questa produzione: la logica implacabile dell'accumulazione di capitale, che per sua natura deve produrre sviluppo ecologico ineguale e "ingiustizia ambientale".
Davis mostra i risultati catastrofici di questo processo: la città come "inferno metropolitano segregato", dove la vulnerabilità al disastro non è un incidente, ma il risultato calcolato della pianificazione di classe.
Una ecologia politica urbana, come informata da questi autori, rifiuta le soluzioni tecnocratiche che vedono la natura urbana come un semplice servizio da gestire (un "servizio ecosistemico") e, al contrario, essa avanza un programma politico basato su alcuni assunti fondamentali.
Trasformazione (Lefebvre): il "Diritto alla Città", inteso come il diritto democratico e collettivo di ridefinire e ri-produrre l'intero metabolismo urbano, sottraendolo alla logica del profitto.
Giustizia (Harvey): una richiesta ineludibile di "giustizia ambientale", che collega direttamente la lotta ecologica alla lotta di classe e antirazzista, mirando a smantellare i sistemi che producono l'esternalizzazione dei costi ambientali sui più deboli.
Resistenza dal basso (Davis): le vere alternative socio-ecologiche non possono provenire dai vertici, ma dalle "pratiche di resistenza" e di vita di coloro che sono in prima linea nella crisi ecologica urbana.
Questi autori, e i loro testi, trasformano l'ecologia da una scienza della gestione a un "campo di lotta politica", e la città da un insieme di edifici a un "ibrido socio-naturale conteso", il cui futuro dipende da chi vincerà la lotta per la sua produzione.


Henri Lefebvre: "La produzione dello spazio";

David Harvey: "Giustizia sociale e città";

Mike Davis: "Città morte".



Commenti