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Il lavoro di J.K. Gibson-Graham, pseudonimo collettivo delle geografe femministe Katherine Gibson e Julie Graham, rappresenta una delle critiche più radicali degli ultimi decenni all'economia politica.
La loro traiettoria intellettuale non si limita a decostruire l'egemonia del capitalismo; piuttosto, essa compie un passo fondamentale: ridefinisce l'ontologia stessa dell'"economico", trasformando la critica in una "politica della possibilità" radicata nel "qui e ora".
La Decostruzione del Capitalocentrismo
Il primo grande intervento di Gibson-Graham è un'opera di decostruzione, che non annuncia la fine del capitalismo come prassi materiale, ma la fine del "concetto" di capitalismo come un'entità monolitica, totalizzante e sistemica che definisce l'intero campo sociale.
L'argomento centrale del lavoro teorico delle due studiose risiede nel fatto che gran parte del pensiero critico, incluso molto marxismo, soffra di "capitalocentrismo": un termine che descrive un vizio discorsivo.
Vede il capitalismo ovunque: interpreta ogni attività economica attraverso la lente della logica del capitale (accumulazione, sfruttamento, mercificazione).
Rappresenta il capitalismo come un sistema unificato: cioè come una struttura coerente, potente e onnipervasiva (una "totalità").
Cancella l'alterità: relegando tutte le forme economiche non capitaliste (lavoro domestico, cooperative, economie informali, baratto, volontariato) a un ruolo subordinato, residuale, o pre-capitalista, dove sono destinate ad essere assorbite o distrutte dal capitale.
Attingendo fortemente al post-strutturalismo (da loro riletto in chiave anti-essenzialista) e alla critica femminista, Gibson-Graham sostengono che questa rappresentazione del capitalismo è, di fatto, un "costrutto discorsivo".
Il punto di partenza è cruciale: la critica femminista ha da tempo smascherato l'invisibilità del lavoro di riproduzione sociale (cura, lavoro domestico), essenziale al funzionamento del capitalismo ma escluso dalle sue definizioni canoniche.
Gibson-Graham estendono questa intuizione: se il capitalismo dipende da un "esterno" non capitalista (il lavoro domestico) per la sua stessa esistenza, allora non può essere un sistema totalizzante e chiuso in sé.
Performatività del Discorso: l'elemento più radicale è l'idea che il "modo" in cui parliamo dell'economia ha effetti performativi.
Descrivere il capitalismo come invincibile e totalizzante, contribuisce a renderlo tale.
Crea quella che le autrici hanno definito la "malinconia della sinistra": una paralisi politica derivante dalla convinzione che ogni azione di resistenza sia futile o destinata a essere cooptata.
Decostruzione del Lavoro: il libro decostruisce le categorie marxiane classiche.
Ad esempio, analizzando lo "sfruttamento", le autrici dimostrano come esso non sia un'essenza unica del rapporto salariale, ma possa essere ri-articolato in contesti non capitalisti (ad esempio, l'appropriazione del plusvalore in imprese comunitarie o cooperative per fini sociali).
L'obiettivo politico è quindi "epistemologico": liberare l'immaginazione politica.
Smettendo di "conoscere" il capitalismo come un mostro invincibile, si apre lo spazio per "vedere e agire" su ciò che già esiste al suo esterno e al suo interno.
Costruire un Nuovo Lessico
Si rende dunque necessaria un'opera di ricostruzione, che mira a fornire il linguaggio e gli strumenti analitici per "leggere" l'economia in modo diverso; non solo un elenco di alternative, ma una vera e propria ri-ontologizzazione dell'economia.
L'economia, per Gibson-Graham, non è un'unica entità (il Mercato, il Capitale), ma un assemblaggio eterogeneo di pratiche.
Per visualizzare ciò, le studiose usano la celebre metafora dell'iceberg.
La Punta (visibile): rappresenta l'economia capitalista formale; lavoro salariato, produzione di merci per il profitto, mercati finanziari.
È ciò che viene misurato (PIL) e ciò su cui si concentra l'analisi capitalocentrica.
La Parte Sommersa (invisibile): costituisce la maggior parte dell'iceberg ed è composta da una vasta gamma di attività non capitaliste.
Lavoro: volontariato, lavoro domestico, lavoro di cura, auto-costruzione.
Impresa: cooperative, imprese sociali, imprese familiari, imprese pubbliche, produzione per l'autoconsumo.
Transazioni: economie del dono, baratto, mercati etici (es. commercio equo), prestiti informali, finanza etica.
Proprietà: beni comuni (commons), proprietà pubblica, proprietà cooperativa.
Il compito del ricercatore e dell'attivista non è più "leggere per la dominanza" (cercare ovunque i segni del capitale), ma "leggere per la differenza".
Si tratta di mappare attivamente la diversità economica esistente in un dato territorio: una mappatura crea nuovi soggetti politici.
Non più solo il "lavoratore salariato contro il capitale", ma una molteplicità di attori (la casalinga, il volontario, il membro della cooperativa, il partecipante a un gruppo d'acquisto solidale) che, riconoscendosi come agenti economici, possono iniziare a negoziare e costruire la loro realtà economica.
Una "politica del linguaggio" e un esercizio di "ri-nominazione" che, dando un nome a queste pratiche (es. "economia del dono", "impresa comunitaria") le sottrae all'invisibilità, rendendole "reali" e politicamente agibili.
La prospettiva politica si sposta radicalmente: dalla "rivoluzione" (intesa come rovesciamento totale di un sistema) alla "costruzione e connessione".
La politica postcapitalista non consiste nell'inventare un futuro utopico dal nulla, ma nell'amplificare, sostenere e collegare le migliaia di pratiche postcapitaliste che già esistono nel presente.
Politica della possibilità qui e ora
Questo terzo momento, che riassume la fase matura del pensiero delle autrici rappresenta la "praxis".
Se il primo momento ha affermato che "il capitalismo non è tutto" e il secondo ha detto "ecco cos'altro c'è", il terzo chiede: "Cosa ne facciamo, ora?"
Questo approccio è la sintesi della "politica della possibilità qui e ora".
Sposta il focus dalla macro-analisi strutturale all'azione etica ed economica a livello di comunità e individuo.
L'economia smette di essere un sistema esterno governato da leggi impersonali (la "mano invisibile" o le "leggi del valore") e diventa un campo di "decisione etica".
"Riprendere l'economia" (Take Back the Economy) significa riappropriarsi della capacità di decidere collettivamente "come" vogliamo vivere economicamente.
Gibson-Graham (con i loro collaboratori) scompongono l'economia in aree di azione concrete, ponendo domande etiche per ciascuna.
Sopravvivenza: come ci procuriamo ciò di cui abbiamo bisogno (cibo, casa, salute)?
Possiamo farlo in modi meno dipendenti dal salario capitalista? (Es. orti urbani, co-housing).
Consumo: Come consumiamo?
Possiamo spostare il nostro consumo verso pratiche etiche, locali e non mercificate?
Surplus: cosa facciamo con il "di più" che produciamo?
Viene accumulato privatamente (profitto capitalista) o distribuito socialmente?
(Es. reinvestimento in imprese comunitarie, fondi per il welfare locale).
Incontro: come ci relazioniamo economicamente con gli altri, umani e non umani?
Attraverso la competizione o la cura?
(Es. mercati contadini, finanza etica).
Beni Comuni: come gestiamo le risorse condivise (naturali, digitali, culturali)?
La prospettiva politica diventa quella dell'"assemblaggio" e della "costruzione di comunità".
Non si tratta di sconfiggere il capitalismo globale frontalmente, ma di costruire "isole" di economie diverse sempre più grandi, resilienti e connesse.
Azione Locale: la politica postcapitalista è intrinsecamente locale, anche se connessa globalmente.
Inizia nel quartiere, nell'impresa, nella comunità.
Performatività dell'Azione: ogni volta che si crea un Gruppo di Acquisto Solidale (GAS), si avvia una cooperativa o si gestisce un bene comune, non si sta solo "resistendo" al capitalismo.
Si sta "performando" attivamente un'economia diversa, rendendola reale e desiderabile.
Una Politica Affermativa: questa è una politica dell'affermazione, non della negazione.
Supera la malinconia paralizzante perché offre passi concreti e immediati.
È una politica della "gioia" nel costruire attivamente il mondo in cui si desidera vivere.
Un'eredità politica ed epistemologica
Il percorso tracciato da J.K. Gibson-Graham è uno dei contributi più vitali all'economia politica critica.
La loro opera ha spostato l'asse del dibattito.
Partendo dalla decostruzione del "capitalocentrismo", le studiose hanno dimostrato che il capitalismo non è un destino ineluttabile, ma un discorso egemonico che oscura altre realtà.
Fornendo il lessico delle "Economie Diverse", hanno dato visibilità e dignità ontologica a una miriade di pratiche non capitaliste, simboleggiate dalla metafora dell'iceberg.
Infine, con il progetto pratico di "Oltre il capitalocentrismo", hanno tradotto questa visione epistemologica in una prassi politica etica, basata sull'azione comunitaria "qui e ora".
La loro non è una politica contro la lotta strutturale, ma una politica "in aggiunta".
Le autrici ci ricordano che, mentre combattiamo il sistema dominante, abbiamo il dovere e la possibilità di costruire attivamente alternative nel presente.
La loro eredità non è una teoria consolatoria, ma uno strumento potente per riattivare l'immaginazione e l'azione politica, ricordandoci che un altro mondo non solo è possibile, ma, se guardiamo attentamente, è già qui.
J.K. Gibson-Graham: "The End of Capitalism (As We Knew It)";
J.K. Gibson-Graham: "A Postcapitalist Politics".
Gibson-Graham, Jenny Cameron e Stephen Healy: "Take Back the Economy: An Ethical Guide for Transforming Our Communities".
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