di socialclimatejustice.blogspot.com
L'attuale crisi ecologica, condensata nel concetto di Antropocene, ha scatenato un profondo riesame dei paradigmi intellettuali e politici che hanno governato la modernità.
In questo contesto di rottura epistemologica si delinea un orizzonte critico che smantella le certezze dell'universalismo eurocentrico, della crescita economica infinita e dell'ambientalismo apolitico, nella necessità di un ripensamento radicale del rapporto tra società, economia e ambiente.
Provincializzare l'Uomo nell'epoca planetaria
Il contributo dello storico Dipesh Chakrabarty si radica nella critica postcoloniale alla storiografia e alle scienze sociali.
L'autore decostruisce la pretesa universalistica delle categorie di pensiero europee (come lo Stato, la società civile, la storia secolare), dimostrando come esse siano inadeguate a comprendere appieno le traiettorie storiche non occidentali.
L'avvento dell'Antropocene, inoltre, lo spinge a un'ulteriore e più radicale provincializzazione: quella dell'umano stesso.
Il lavoro di Chakrabarty si fonda su una distinzione cruciale: la differenza tra "globale" e "planetario".
Il globale è la sfera creata dal capitalismo e dall'imperialismo europeo, uno spazio di interconnessione umana, di flussi di capitali e di merci.
La storia della globalizzazione è una storia intrinsecamente umana.
Il planetario, al contrario, si riferisce alla Terra come sistema geofisico, un agente che non risponde alle logiche umane e che opera su scale temporali geologiche.
L'Antropocene segna l'irruzione della storia planetaria (la storia della Terra) all'interno della storia umana (la storia del globale).
Questa irruzione manda in frantumi la tradizionale separazione tra storia umana e storia naturale, un pilastro del pensiero illuminista.
L'umanità, per la prima volta, si riconosce non solo come agente biologico, ma come "forza geologica", capace di alterare i cicli fondamentali del pianeta.
Gli elementi chiave del pensiero di Chakrabarty ruotano attorno a questa nuova consapevolezza.
Crisi della Storiografia: le metodologie storiche tradizionali, focalizzate sull'azione umana intenzionale e documentata, sono inadeguate a narrare una storia in cui agiscono anche forze non-umane (calotte glaciali, oceani, atmosfera).
L'Umanità come Specie: il cambiamento climatico costringe a pensare all'umanità non solo come un insieme di culture e nazioni (prospettiva umanistica), ma anche come una specie biologica (prospettiva delle scienze naturali), un'astrazione a lungo criticata dalle scienze sociali ma oggi indispensabile.
Ingiustizia Climatica: pur riconoscendo l'umanità come forza geologica, Chakrabarty non appiattisce le responsabilità.
L'autore sottolinea che l'Antropocene è un prodotto del capitalismo e dell'imperialismo, e che i suoi impatti sono distribuiti in modo diseguale, colpendo maggiormente le popolazioni del Sud del mondo che meno hanno contribuito a generarlo.
La prospettiva politica di Chakrabarty è complessa e priva di facili soluzioni; non offre un programma politico definito, ma piuttosto un nuovo quadro per pensare la politica.
L'umanità è unita non da un progetto positivo o da un'identità comune, ma da una minaccia esistenziale condivisa: un "universalismo negativo".
Questa condizione richiede una nuova forma di politica che tenga conto della nostra appartenenza a una storia planetaria.
La sfida è coniugare la critica al capitalismo e la lotta per la giustizia climatica con la consapevolezza che la crisi mette in gioco la sopravvivenza stessa della specie.
L'Utopia concreta della Decrescita
Se Chakrabarty analizza la rottura epistemologica dell'Antropocene, il filosofo Serge Latouche si concentra sulla sua causa materiale fondamentale: l'ossessione per la "crescita economica"; un sistema di credenze che ha colonizzato l'immaginario collettivo, rendendo impensabile un'alternativa.
Il lavoro teorico di Latouche è una critica radicale all'"economicismo", ovvero la riduzione di ogni dimensione della vita umana a una logica economica di calcolo e profitto.
L'autore smonta il "mito dello sviluppo", un percorso universale che tutte le società dovrebbero seguire, denunciandolo come un'imposizione del modello occidentale che distrugge le culture locali e la diversità.
La crescita economica, secondo Latouche, non è la soluzione ai problemi sociali e ambientali, ma la loro causa principale: essa è fisicamente insostenibile su un pianeta finito e socialmente ingiusta, in quanto genera disuguaglianze e mercifica le relazioni umane.
"Decrescita" non significa recessione o crescita negativa, che sono fenomeni subiti all'interno del paradigma dominante; è, invece, un progetto volontario e sereno di abbandono dell'obiettivo della crescita per costruire una società basata sul benessere, la convivialità e la sostenibilità.
Gli elementi chiave di questa transizione sono sintetizzati nel circolo virtuoso delle "Otto R".
Rivalutare: cambiare i valori dominanti (competizione, consumo) a favore di cooperazione, semplicità e socialità.
Riconcettualizzare: modificare il nostro modo di pensare (es. ridefinire la ricchezza).
Ristrutturare: adattare l'apparato produttivo e le strutture sociali ai nuovi valori.
Rilocalizzare: produrre e consumare a livello locale per ridurre l'impronta ecologica e rafforzare le comunità.
Ridistribuire: garantire un'equa ripartizione delle risorse naturali e della ricchezza.
Ridurre: diminuire l'impatto della produzione e del consumo sull'ambiente.
Riutilizzare: allungare la vita dei prodotti combattendo l'obsolescenza programmata.
Riciclare: recuperare le materie prime dai rifiuti.
La prospettiva politica della decrescita è quella di una "democrazia ecologica" che si realizza principalmente su scala locale.
Latouche propone una società che favorisca l'autonomia, l'autoproduzione e le tecnologie appropriate.
Questo non implica un rifiuto totale della tecnologia o del mercato, ma un loro reinserimento all'interno di una logica sociale e politica che li governi, invece di esserne governata.
La scommessa è che una riduzione volontaria e giusta del consumo materiale possa liberare tempo e risorse per arricchire la vita relazionale, culturale e spirituale, conducendo a un benessere superiore rispetto a quello offerto dalla società della crescita.
Le voci dal Sud del Mondo
L'economista Joan Martinez-Alier sposta il focus dai dibattiti intellettuali del Nord globale alle lotte materiali del Sud.
L'autore documenta e teorizza un fenomeno sistematicamente ignorato dall'ambientalismo tradizionale: le innumerevoli battaglie condotte da contadini, indigeni e comunità povere contro la distruzione dei loro territori e mezzi di sussistenza.
Il quadro teorico di Martinez-Alier è quello dell'ecologia politica e dell'economia ecologica.
L'autore introduce il concetto fondamentale di "conflitto di distribuzione ecologica".
Questi conflitti sorgono quando l'accesso e l'uso delle risorse naturali e dei servizi ecosistemici sono distribuiti in modo ineguale.
Tipicamente, le popolazioni locali più povere, la cui sopravvivenza dipende direttamente dalla natura (acqua pulita, foreste, suolo fertile), subiscono i costi ambientali (inquinamento, espropriazione) generati da attività economiche (miniere, dighe, piantagioni) i cui benefici vanno a vantaggio di élite locali o consumatori lontani del Nord globale.
L'Ambientalismo dei Poveri: a differenza dell'"ambientalismo dei ricchi", che si concentra sulla conservazione della natura selvaggia o sulla bellezza estetica, l'ambientalismo dei poveri è una "lotta per la sopravvivenza".
Non nasce da un lusso post-materialista, ma dalla necessità di difendere la base materiale della vita.
Critica all'Economia Neoclassica: Martinez-Alier critica l'incapacità dell'economia standard di valutare i danni ambientali e sociali.
L'autore evidenzia l'esistenza di una pluralità di "linguaggi di valutazione": mentre gli economisti parlano di "esternalità" e analisi costi-benefici, le comunità locali parlano di diritti territoriali, sacralità della natura, giustizia e dignità umana.
Questi valori sono "incommensurabili" e non possono essere ridotti a un'unica metrica monetaria.
Debito Ecologico: questo concetto capovolge la narrazione convenzionale del debito.
Il Nord globale, attraverso secoli di colonialismo e sfruttamento delle risorse, ha accumulato un enorme "debito ecologico" nei confronti del Sud, sia per l'estrazione sproporzionata di risorse sia per l'uso sproporzionato dei "pozzi" ambientali globali come l'atmosfera, gli oceani o le foreste, per lo smaltimento della CO₂.
La prospettiva politica di Martinez-Alier è la costruzione di un "movimento globale per la giustizia ambientale" che unisca le lotte locali del Sud con i movimenti per la giustizia ambientale nati nei ghetti urbani del Nord.
Questo movimento non separa le questioni ambientali da quelle sociali, ma le vede come intrinsecamente connesse.
La sua forza risiede nel dare voce ai subalterni, nel riconoscere la legittimità dei loro linguaggi di valutazione e nel trasformare i conflitti locali in una potente critica globale al modello di sviluppo dominante.
Un dialogo per un Mondo Diverso
L'analisi dei tre autori rivela un terreno comune di profonda critica alla modernità capitalista e occidentale.
Chakrabarty provincializza l'epistemologia occidentale, mostrando come l'Antropocene metta in crisi le sue categorie fondamentali e costringa a ripensare la nostra posizione nel cosmo.
Latouche attacca il motore economico della modernità, la crescita, proponendo un'alternativa radicale basata sulla sufficienza e sulla rilocalizzazione.
Martinez-Alier dà voce a coloro che subiscono le conseguenze materiali di questa modernità, mostrando come la difesa dell'ambiente e la lotta per la giustizia sociale siano due facce della stessa medaglia.
Mentre Chakrabarty opera a un livello filosofico-storico, Latouche a un livello socio-economico e Martinez-Alier a un livello socio-politico, le loro prospettive sono profondamente complementari.
La crisi planetaria descritta da Chakrabarty è la conseguenza diretta della società della crescita denunciata da Latouche; le lotte per la giustizia ambientale analizzate da Martinez-Alier sono la manifestazione più evidente e drammatica di questa insostenibilità.
Insieme, questi tre pensatori ci offrono gli strumenti intellettuali per navigare la complessità dell'Antropocene.
Essi ci invitano a superare un ambientalismo ingenuo, che si limita a soluzioni tecnologiche o di mercato, per abbracciare una critica più profonda che metta in discussione i fondamenti stessi della civiltà occidentale.
La sfida che pongono è quella di "re-immaginare" e costruire un mondo in cui la prosperità umana non si fondi sulla distruzione del pianeta e sull'ingiustizia sociale: un mondo post-crescita, post-coloniale e socialmente giusto.
Dipesh Chakrabarty: "La sfida del cambiamento climatico. Globalizzazione e Antropocene";
Serge Latouche: "La scommessa della Decrescita";
Joan Martinez-Alier: "Ecologia dei poveri. La lotta per la giustizia ambientale".
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