di socialclimatejustice.blogspot.com
Vandana Shiva, fisica quantistica, attivista e pensatrice tra le più influenti del nostro tempo, ha dedicato la sua opera a una critica radicale del modello di sviluppo dominante e alla formulazione di un'alternativa fondata sulla democrazia ecologica e sulla giustizia sociale.
Attraverso la sua vasta produzione saggistica, Shiva ha smascherato le interconnessioni tra la crisi ecologica, la povertà, l'ingiustizia di genere e le logiche di potere neocoloniali.
L'epistemologia della Violenza
Vandana Shiva sferra un attacco frontale al cuore del paradigma scientifico occidentale, che definisce riduzionista e patriarcale.
La sua opera rappresenta una decostruzione epistemologica che svela come un modello di conoscenza, spacciato per universale e oggettivo, sia in realtà il prodotto storico e culturale di una visione del mondo parziale: quella dell'uomo bianco occidentale.
Shiva sostiene che il sistema di conoscenza dominante opera attraverso un processo di "scomparsa delle alternative".
Proprio come le monocolture agricole soppiantano la biodiversità locale, queste "monocolture della mente" cancellano la pluralità dei saperi, in particolare quelli indigeni e femminili.
Questo processo si articola in due fasi.
Invisibilizzazione: i sistemi di conoscenza locale vengono semplicemente ignorati, negando la loro stessa esistenza.
Delegittimazione: qualora emergano, essi vengono etichettati come "primitivi", "antiscientifici" e "irrazionali", privandoli di ogni status di validità.
Questa, secondo Shiva, è una "epistemologia della violenza", poiché non si limita a un dibattito tra paradigmi, ma impone un unico modello attraverso il potere economico e politico, sradicando culture e modi di vita millenari.
La cosiddetta "Rivoluzione Verde" in India è l'esempio paradigmatico di questo processo: l'introduzione di sementi ad alto rendimento (HYV), dipendenti da input chimici, ha distrutto innumerevoli varietà di sementi locali, eroso la fertilità dei suoli e indebitato i contadini, pur essendo presentata come l'unica via "scientifica" per risolvere il problema della fame.
Per Shiva, il concetto di "biodiversità" è centrale: non è solo una questione ecologica, ma anche culturale e cognitiva. La diversità biologica è intrinsecamente legata alla diversità culturale; i sistemi agricoli tradizionali, basati sulla policoltura e sull'integrazione tra agricoltura, silvicoltura e allevamento, sono l'espressione di una conoscenza olistica e contestualizzata, sviluppata in secoli di interazione con l'ecosistema.
La scienza riduzionista, al contrario, frammenta la realtà: separa la foresta dall'agricoltura, il suolo dalla pianta, la produzione dal consumo, ignorando le complesse interrelazioni che governano i sistemi viventi.
Questa frammentazione legittima interventi che, pur massimizzando una singola variabile (la resa di un raccolto), generano una serie di esternalità negative a livello ecologico e sociale.
La proposta politica che emerge dal lavoro di Shiva è una "democratizzazione della conoscenza", una "liberazione del Sapere".
Si tratta di un appello all'"insurrezione dei saperi soggiogati", per usare un'espressione di Foucault.
Shiva invoca il riconoscimento e la legittimazione dei sistemi di conoscenza locali, non in una prospettiva romantica o antiscientifica, ma come condizione necessaria per la costruzione di un futuro sostenibile.
La lotta contro i "brevetti sulla vita e la biopirateria" (l'appropriazione indebita di risorse genetiche e saperi tradizionali da parte delle multinazionali) è la traduzione concreta di questa prospettiva.
La difesa della libertà dei semi (Seed Freedom) diventa un atto di resistenza contro il monopolio intellettuale e materiale imposto dalle monocolture della mente.
La Mercificazione di un Bene Comune
Vandana Shiva denuncia la trasformazione dell'acqua da bene comune a merce, un processo guidato da istituzioni internazionali come la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e implementato dalle grandi multinazionali.
Dalla Comunanza alla Scarsità: Shiva contesta la narrativa dominante che attribuisce la crisi idrica alla scarsità naturale.
Sostiene invece che la scarsità è socialmente e politicamente costruita.
La vera causa della crisi non è la mancanza d'acqua in sé, ma la sua "gestione iniqua e insostenibile", basata su un modello estrattivo e centralizzato.
Il lavoro teorico di Shiva si fonda sulla contrapposizione tra due paradigmi.
La legge del ritorno: i sistemi tradizionali di gestione dell'acqua si basano sul rispetto del ciclo idrologico.
L'acqua viene prelevata in modo da permetterne la rigenerazione, secondo un principio di restituzione alla natura e alla comunità.
I diritti sull'acqua sono usufruttuari, non di proprietà privata, e la gestione è collettiva e decentralizzata.
La legge dell'estrazione: il modello capitalista tratta l'acqua come una risorsa inerte da estrarre, sfruttare e commercializzare per massimizzare il profitto.
Questo approccio, definito "idro-pirateria", ignora i limiti ecologici e i bisogni delle comunità locali, generando inquinamento, esaurimento delle falde e conflitti.
L'elemento chiave del ragionamento dell'autrice è dunque la critica alla "privatizzazione dell'acqua".
Shiva documenta come, attraverso prestiti condizionati e accordi di libero scambio, i paesi del Sud del mondo siano stati costretti a cedere la gestione dei loro servizi idrici a multinazionali come Suez e Veolia.
Questo ha portato a un aumento vertiginoso delle tariffe, escludendo i più poveri dall'accesso a una risorsa essenziale, e non ha garantito i miglioramenti promessi in termini di efficienza e qualità del servizio.
A questo modello, Shiva contrappone quello della "democrazia dell'acqua", che si basa su alcuni principi fondamentali.
L'acqua è un dono della natura: non può essere posseduta, comprata o venduta.
L'acqua è essenziale alla vita: l'accesso all'acqua per i bisogni primari è un diritto umano inalienabile.
La gestione dell'acqua deve essere comunitaria: le decisioni riguardanti le risorse idriche devono essere prese a livello locale, dalle comunità che da esse dipendono, nel rispetto dei cicli naturali.
La prospettiva politica dell'autrice è quella della "resistenza attiva e della costruzione di alternative dal basso".
Shiva celebra le lotte dei movimenti popolari contro la privatizzazione e promuove il recupero delle pratiche tradizionali di raccolta e conservazione dell'acqua piovana.
La soluzione alla crisi idrica non è tecnologica o di mercato, ma è "ecologica e democratica".
Si tratta di ri-localizzare la gestione delle risorse, rafforzare le istituzioni comunitarie e riaffermare il principio dell'acqua come bene comune globale.
Verso una Democrazia della Terra
Shiva propone un modello di cittadinanza che non si limita alla specie umana ma si estende a tutti gli esseri viventi, membri della "'Comunità della Terra".
Questa visione si basa sulla consapevolezza dell'interconnessione di tutte le forme di vita e sulla necessità di proteggere i processi ecologici che sostengono l'intera biosfera.
La "Democrazia della Terra" si contrappone frontalmente alla "dittatura del mercato", che Shiva identifica con il processo di globalizzazione guidato dalle corporation.
Questa forma di globalizzazione, basata sulla recinzione dei beni comuni (l'acqua, i semi, la conoscenza, la biodiversità), genera violenza, esclusione e povertà. Crea "economie assassine" che prosperano sulla distruzione della natura e sulla disintegrazione delle comunità.
Shiva articola dieci principi della Democrazia della Terra.
1) Il valore intrinseco di tutte le specie e di tutti i popoli.
2) La democrazia di tutta la vita.
3) La diversità nella natura e nella cultura.
4) I diritti naturali al sostentamento.
5) L'economia della Terra basata sulla democrazia economica e sulle economie viventi.
6) La democrazia vivente.
7) Le culture viventi.
8) La conoscenza vivente.
9) L'equilibrio tra diritti e responsabilità.
10) La globalizzazione dal basso (globalizzazione della vita).
Questi principi delineano un'economia che non si basa sulla crescita illimitata e sull'accumulazione di profitto, ma sulla "cura", sulla "rigenerazione" e sulla "soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutti".
È un'economia "vivente" che rispetta i limiti del pianeta e promuove la sovranità alimentare, la produzione locale e la gestione comunitaria dei beni comuni.
La prospettiva politica della "Democrazia della Terra" è un invito all'azione a tutti i livelli; dal locale al globale.
Shiva enfatizza l'importanza delle "democrazie locali" e delle economie radicate nel territorio come fondamento per un ordine globale più giusto e sostenibile.
Tuttavia, la visione non è localistica in senso stretto.
Shiva propone una "globalizzazione alternativa", basata sulla solidarietà, sulla condivisione della conoscenza e sulla "difesa collettiva dei beni comuni planetari".
È una politica che connette le lotte dei piccoli agricoltori indiani a quelle dei movimenti per la giustizia sociale e ambientale in tutto il mondo, creando una rete di resistenza e di speranza contro il dominio delle corporation.
Un Pensiero Coerente per un Mondo Interconnesso
Partendo da una critica epistemologica al riduzionismo scientifico, l'analisi di Vandana Shiva si è progressivamente allargata fino a comprendere le dinamiche economiche e politiche della globalizzazione, offrendo una visione del mondo radicalmente alternativa.
Il filo rosso che unisce le sue opere è la "difesa della diversità" – biologica, culturale, epistemologica – contro l'omologazione imposta dalle monocolture del mercato e della mente.
Shiva mostra come la distruzione della biodiversità nei campi, la mercificazione di una risorsa vitale come l'acqua e l'erosione della democrazia siano facce della stessa medaglia: un modello di sviluppo basato sulla separazione, sulla dominazione e sulla violenza.
La sua proposta politica, la "Democrazia della Terra", non è un'utopia astratta, ma un appello concreto a ricostruire le nostre società a partire dalla "cura delle relazioni": tra di noi, con le altre specie e con la Terra.
È un invito a riscoprire il valore dei beni comuni, a riappropriarci della nostra sovranità – a partire da quella alimentare – e a praticare una cittadinanza ecologica che riconosca i nostri doveri verso il pianeta.
In un'epoca segnata da crisi convergenti, il pensiero di Vandana Shiva offre non solo una diagnosi lucida e spietata, ma anche e soprattutto una bussola per orientare la necessaria transizione verso un futuro equo e rigenerativo.
Vandana Shiva: "Monocolture della Mente";
Vandana Shiva: "Le Guerre dell'Acqua";
Vandana Shiva: "Il Bene Comune della Terra".
Commenti
Posta un commento