di socialclimatejustice.blogspot.com
Nell'ambito del pensiero contemporaneo sulla Palestina, la voce della psichiatra e scrittrice Samah Jabr emerge con una forza singolare, capace di intrecciare l'analisi clinica con una profonda critica politica.
Jabr offre un contributo fondamentale alla comprensione delle ferite psicologiche inflitte dall'occupazione coloniale, delineando al contempo una prospettiva di resistenza (intrinsecamente terapeutica).
L'autrice, partendo dalla sua pratica clinica, costruisce un discorso critico e radicale sulla decolonizzazione della mente e del territorio.
Sulle orme di Fanon
Il pensiero di Samah Jabr si radica saldamente nel solco tracciato da Frantz Fanon, lo psichiatra e filosofo martinicano che per primo ha analizzato in modo sistematico la psicopatologia del colonialismo.
Come Fanon ne "I dannati della terra", Jabr non considera la sofferenza psichica dei palestinesi come un insieme di disturbi individuali da medicalizzare, ma come la conseguenza diretta e inevitabile di un sistema di oppressione politica, economica e razziale.
Il trauma, nella sua analisi, non è un evento circoscritto nel tempo, un "disturbo post-traumatico da stress" che segue a un incidente, ma una condizione esistenziale pervasiva, continua e cumulativa.
È "il trauma della ferita che non si chiude", inflitta quotidianamente da checkpoint, demolizioni di case, detenzioni arbitrarie e dalla costante negazione dell'umanità dell'altro (colonizzato).
Jabr attualizza il discorso fanoniano, applicandolo alla specificità del contesto palestinese.
Se Fanon vedeva nella violenza rivoluzionaria un atto catartico di liberazione per il colonizzato, Jabr esplora le forme quotidiane e collettive di resistenza come pratiche essenziali per preservare la salute mentale e la dignità.
La sua prospettiva decoloniale si oppone a un approccio psichiatrico "neutrale" che, ignorando il contesto politico, rischia di diventare complice del sistema oppressivo, patologizzando la rabbia e la ribellione legittime delle vittime.
La cura, per Jabr, non può essere disgiunta dalla lotta per la giustizia e la liberazione.
Sumud, Testimonianza e la Lingua dell'oppressione
Al centro della riflessione di Jabr è il concetto di Sumud (صمود).
Questa parola araba, spesso tradotta riduttivamente come "resilienza", assume nel pensiero dell'autrice una connotazione molto più profonda e attiva.
Non si tratta di una mera capacità di sopravvivere o di adattarsi passivamente alle avversità.
Il Sumud è una "fermezza perseverante", una forma di "resistenza attiva e cosciente" che si manifesta nel semplice atto di esistere sulla propria terra, nel coltivare gli ulivi, nel preservare la memoria storica e culturale, nell'educare i figli all'identità palestinese.
È una pratica quotidiana di sfida alla sopraffazione che nutre la psiche individuale e collettiva, impedendo la disintegrazione psicologica e sociale.
Un altro elemento cardine è il ruolo della "testimonianza".
Jabr raccoglie cronache dalla sua pratica clinica, offrendo uno spaccato vivido delle conseguenze psicologiche dell'occupazione.
Dare parola al dolore, rompere il silenzio imposto dal dominatore, diventa un atto terapeutico e politico.
La narrazione permette di trasformare la sofferenza individuale in coscienza collettiva, di riconoscere la natura politica del proprio disagio e di contrastare quella che Jabr definisce "ingiustizia epistemica": la negazione del sapere e dell'esperienza di chi subisce l'oppressione.
Il suo lavoro di psichiatra diventa così un atto di ascolto radicale, un modo per validare la realtà dell'oppresso contro la propaganda del colonizzatore.
Infine, Jabr analizza lucidamente il "linguaggio" come strumento di dominio.
L'occupazione israeliana, sostiene, non si limita al controllo fisico del territorio, ma si estende allo spazio mentale, imponendo una terminologia che criminalizza la resistenza e disumanizza i palestinesi.
Termini come "terrorismo" o "scontro tra civiltà" servono a mascherare la realtà dell'oppressione coloniale.
Rifiutare questa narrazione e riappropriarsi del proprio linguaggio per descrivere la propria realtà è un passo fondamentale nel processo di liberazione psicologica.
Oltre la pace, la Giustizia come prerequisito
Le implicazioni politiche del pensiero di Samah Jabr sono radicali e inequivocabili.
La sua analisi demolisce l'idea che una "pace" possa essere raggiunta senza la rimozione delle cause strutturali della violenza, ovvero l'occupazione e il colonialismo d'insediamento.
La salute mentale del popolo palestinese, afferma Jabr, non può essere "curata in un contesto patogeno".
Pertanto, qualsiasi soluzione che non preveda la fine dell'oppressione, il riconoscimento dei diritti del popolo palestinese e la giustizia è destinata al fallimento.
L'autrice affronta senza mezzi termini la questione della violenza perpetrata da Israele, ancorandola ad un'analisi della realtà sul campo: la distruzione sistematica delle condizioni di vita, la disumanizzazione, l'uccisione deliberata di civili, la cancellazione della cultura e della memoria.
La sua "etica della solidarietà" è una chiamata alla comunità internazionale a riconoscere la gravità di ciò che sta accadendo e ad agire di conseguenza.
La lotta del popolo palestinese non è una questione locale, ma parte di una più ampia battaglia globale contro il colonialismo.
La solidarietà internazionale, in quest'ottica, non è un atto di carità, ma un imperativo morale e politico che ha un potere "curativo reciproco", capace di restituire umanità sia agli oppressi che a coloro i quali scelgono di non rimanere indifferenti.
In conclusione, le opere di Samah Jabr rappresentano una sintesi potente e necessaria tra la pratica psichiatrica e la teoria politica anticoloniale.
Attraverso i concetti di "Sumud", di "testimonianza" e di "critica del linguaggio", l'autrice non solo diagnostica le ferite profonde inferte dall'occupazione, ma indica anche un percorso di guarigione che coincide con la lotta per la liberazione.
I suoi libri sono un monito contro la medicalizzazione della sofferenza politica e un invito a comprendere che non può esistere benessere psicologico senza giustizia sociale e dignità umana.
La sua è una psichiatria impegnata, che rifiuta la neutralità per schierarsi dalla parte degli oppressi, riconoscendo che la vera terapia, per il colonizzato e per il mondo, risiede nella fine del colonialismo.
Samah Jabr: "Dietro i fronti";
Samah Jabr: "Sumud";
Samah Jabr: "Il tempo del genocidio".
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